“Cataina”, uomo al margine
Storia di normale ingiustizia

di Ettore Canepa

Per la gente era un vagabondo, un elemento raccogliticcio; per altri un relitto umano, per altri ancora un poco di buono. in me aveva suscitato una sorte di caritatevole simpatia e soffrivo se lo vedevo maltrattato. A quel tempo avevo dodici anni, lui forse poco più di cinquanta, portati malissimo. Non si conosceva nulla della sua vita, né come e perché avesse scelto Spotorno a sua dimora. Aveva modi bruschi e diffidenti che gli procuravano antipatie. Forse erano un istintivo atteggiamento di difesa della sua libertà. Interiormente possedeva una grande carica umana, sensibile e rispettosa. Viveva alla giornata contando sulle mance per qualche servizio prestato, ma non chiedeva l'elemosina.
Fui felice quando seppi che il Comune l'aveva incaricato d'accudire alla pulizia del gabinetto pubblico che era stato attrezzato in modo igienicamente conveniente ed era preferibile alle antiquate latrine senza acqua di cui era dotata, allora, la maggioranza delle case. L'altissima frequentazione del servizio comunale portava ad un risultato negativo: l'accumulo di rifiuti organici sparsi in tutto il locale. il povero "Cataina", così era stato battezzato dalla gente, aveva il suo d'affare nel far rientrare il materiale nell' apposito scarico a forza di secchi d'acqua. Le quattordici lire settimanali che il Comune gli riconosceva non pagavano tanto lavoro, così, quel giorno, prima di pulire chiamò la guardia civica affinché constatasse la giusta richiesta di un piccolo aumento. L'attenzione irritata della guardia, anziché per il cumulo di sporcizia, fu provocata da una scritta sul muro del gabinetto. "Cataina", più allarmato che deluso, venne a chiamarmi affinché gli leggessi lo scritto, lui era analfabeta. L'aiutai a cancellare il tutto.
Arrivarono, poco dopo, il Podestà e la guardia civica e dalla discussione tra i due appresi che nel rapportino la guardia non aveva riportato il vero testo, ma solo impressioni personali, come offese alla morale ed alla dignità della gente. "La sensibilità ferita che la guardia riscontrava non era determinata né determinabile, in assenza del testo incriminato". Così insisteva il Podestà.
Quale era la sensibilità ferita? "Quella dell'uomo, del marito, del pubblico ufficiale, e via crescendo fino a quella del partito e della Patria". il Podestà ripeteva che, allo stato dei fatti, l'unico colpevole era la guardia civica che non aveva provveduto a riportare lo scritto integralmente in modo che anche altri potessero giudicare. Il proposto licenziamento dell'addetto alle pulizie, analfabeta, che non aveva segnalato e che poi aveva cancellato la scritta, era un non senso. Egli aveva il compito di pulire e aveva fatto il suo dovere. Era colpevole, invece, chi il proprio dovere non l'aveva fatto.
Il povero "Cataina" era distrutto: quel lavoro sicuro era la sua unica certezza d'avere assicurato giornalmente almeno il pane. La mattina successiva "Cataina" venne da me allarmatissimo: nel muro v'era una nuova scritta."Vieni a vedere" mi fece.
"Non serve conosco il testo, vada a riferire alla guardia civica". Così la pratica fu istruita: lo scritto fu fotografato e ricopiato con la carta trasparente per aver più elementi per l'indagine. Un motivo nuovo e sconcertante era entrato a turbare ulteriormente l'investigazione: la scritta, a differenza della prima che era nera, era scritta in rosso, con un fondo di mattone. A quei tempi (1932) il rosso non era cosa da nulla: "Non dico far centro, ma figli di puttane fatela dentro". Questa la famigerata scritta.

L'investigazione fu capillare. Dalla lista dei residenti furono escluse le donne, i bambini, gli analfabeti (lasciando il "Cataina" perché indiziato), quanti avevano in casa idoneo servizio igienico, gli assenti o impediti, infine quelli considerati, a stima, esclusi da qualsiasi sospetto. Qualche giorno dopo il "Cataina" venne da me perché incaricato di consegnare un piccolo pacco ad un determinato indirizzo, scritto sullo stesso. Diedi tutte le informazioni necessarie ed il pacco arrivò a destinazione. Due giorni dopo, il "Cataina" ritornò con una determinazione comunale che intimava a Giovanni Rota (questo il vero nome di "Cataina") la cessazione dell'incarico della pulizia dei gabinetti.
Lo si dichiarava colpevole d'aver imbrattato i muri del locale pubblico usando parole indecenti e fingendosi analfabeta. La prova della sua capacità di leggere e scrivere fu raggiunta attraverso le testimonianze di chi l'aveva visto con un giornale in mano; la consegna del pacco con l'indirizzo scritto ed infine perché era l'unico ed avere interesse ad apporre quella scritta onde poter poi pulirla e motivare così il proprio lavoro. Avrebbe potuto, contro la decisione, ricorrere a mezzo legale ecc. il licenziamento fu immediato.
Caro Rota in terra non è cambiato nulla: sempre guerre, sempre sopraffazioni, sempre miseria. Noi abbiamo la democrazia: il colore rosso non spaventa più. "Figlio di puttana" non offende più nessuno perché anche la morale si è evoluta. La logica è rimasta un attributo non indispensabile dell'uomo e spesso è assente.
Capita di leggere atti amministrativi giustificati solo dalla più audace immaginazione. Le aliquote ICI sono inique. Gli atti impositivi denotano spesso scarso intelletto e poca coscienza; la mano sul timone è cambiata, speriamo nel futuro.