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Leggendo del “decimo scudetto rubato” e della stella che ancora manca al Genoa,
            corre il ricordo a Pippo Spagnolo, il “patriarca”, un uomo che ha nobilitato e definito il
            tifo:

            L'addio a Pippo Spagnolo il "grande vecchio" della Nord             31 gennaio 2014
            di GESSI ADAMOLI
            Ripeteva che aveva "fatto un patto con l'aldilà: Morirò solo dopo che il Genoa avrà
            vinto il decimo scudetto, quello della stella". Ma il cuore l'ha tradito nella notte: il 25
            agosto aveva compiuto 80 anni.
                                                    Pippo Spagnolo insieme ad una vecchia gloria
                                                    rossoblù: Pato Aguilera

                                                    Pippo Spagnolo, il leggendario tifoso
                                                    genoano, non vedrà il derby. Se n'è
                                                    infatti   andato   nella   notte,   lui   che
                                                    ripeteva sempre: "Ho fatto un patto
                                                    con chi comanda nell'aldilà, morirò
                                                    solo dopo che il Genoa avrà vinto il
                                                    decimo scudetto, quello della stella".
            Il 25 agosto aveva compiuto 80 e  Repubblica, nelle pagine sportive dell'edizione
            genovese, gli aveva dedicato questo ritratto. È un'icona della gradinata nord, il "grande
            vecchio", il saggio al quale si rivolgono quelli che lui chiama affettuosamente "i
            ragazzi", anche se sono lontani i tempi della Fossa dei Grifoni quando ragazzi lo erano
            davvero. Pippo orgogliosamente si definisce "un tifoso e non uno sportivo": "Perché se
            a Marassi ci fosse la finale di Champions League, ma di fronte, sul greto del Bisagno,
            giocasse il Genoa contro il Ligorna, io sarei lì". Da sempre è in contrasto con il
            presidente di turno. "Ma è normale che sia così: lui è il padrone; io, come tifoso,
            rappresento il sindacato. E i miei interessi non potranno mai essere i suoi". All'inizio
            degli anni '70 ha inseguito una grande utopia: fare diventare i tifosi proprietari della
            società. Così è andato a Madrid a studiare il modello del Real, tornato a Genova ha
            lanciato l'azionariato popolare riuscendo a radunare 18 mila piccoli azionisti. Quando
            era presidente del Coordinamento dei Clubs Rossoblù, ha portato mille temerari, su
            una bagnarola chiamata Caralis, a Sassari per vedere Torres-Genoa di serie C. E
            qualche anno dopo, in campo neutro a Pisa, a torso nudo, a cavalcioni sulla griglia che
            divideva la curva dal terreno di gioco ricacciava indietro, uno a uno, i tifosi che infuriati
            con l'arbitro volevano invadere.

            "Il capo non si elegge, si manifesta", dice Peo Campodonico l'autore dell'inno del
            Genoa. E si rifà a un episodio del 1973: "La partita con il Lecco era quella della festa
            della promozione in serie A. Eravamo in 40 mila a Marassi, c' era troppo rumore e non
            si sentiva lo speaker che doveva dare delle indicazioni ai paracadutisti che dovevano
            atterrare sul terreno di gioco con i palloni della partita. Ma a Pippo è bastato solo un
            cenno della mano per fare restare in silenzio tutta la Nord"

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