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Prefazione







            Di Giuliano Meirana ho già riferito la_ piacevolezza con la quale viene rievocata la
            poesia del sito provinciale nativo (vedi “Il mio Ponente”, 2010, p. 136).

            La nuova raccolta convalida i termini del giudizio, ma consente anche di scoprire
            meglio l'adeguatezza del dialetto ai temi che gli sono affidati. La gente di Liguria, che
            fa tanta poesia in queste pagine, era povera, di una povertà vera; ma anche i dialetti
            sono lingue povere, lingue della povertà; non si può ricordare un mondo di cose, care
            ma senza valori mondani, in una lingua prelibtata, delicata, sontuosa: ad ogni terna la
            sua lingua; questi “migranti”, che partono con una valigia consunta, portano con sé
            anche una lingua che vi è congiunta; quelle rane, (vedi qui “Cantano le rane”), non
            sono la rana dannunziana de “La pioggia nel pineto”, aristocratica anch’essa come i
            due amanti che la sentono “figlia del limo lontama”... “che canta nell'ombra più
            fonda, chi sa dove, chi sa dove”, ma queste di Meirana sono rane nostre, direi
            “nostrane”: cantano la medesima canzone “al mare vestito di seta, / alla luce nel
            balcone”; il dialetto rispetta questa apertura del bello anche alle cose umili del nostro
            vivere quotidiano.


            Il pregio delle poesie di Meirana è questo: la verità che si fa poesia nella rievocazione
            affidata al linguaggio che ‘vi ha risuonato dentro. Il mondo di questa poesia è la
            Liguria, quella veramente povera, costretta a sacrifici talora eroici: “tera d’incantu e
            düa”, con uomini “anonimi e artisti” dove spirano tutti i venti noti, ma qui hanno
            “vuxe d’aia nustrana”; qui hai “sfarsu de lüna pina” e “in gattu e n’a banchina a
            ciaccerà cu’e stélle”. Qui il tempo aveva “la chiave d’u su e d’u campanin”; nessuna
            eleganza moderna: “i teiti sensa antenne” , “a brunza cu’a cadena” , un ciocco in
            mezzo alle braci, il vento nelle persiane.

            Alto pregio estetico va riconosciuto alla già nominata poesia ”Cantan e rene” :
            Cantan insemme a-a ruggia e a l' egua ch a se inventa / e note ch’a gurguggia”... Ma
            abbondano le metafore che cosi da presso accompagnano le cose, come: “E candide
            camixe / di bricchi e da rivéa, / a neive insc’à curnixe / e sciùmma insc’a scug- gea”.
            Da sottolineare quelle “onde senza una spiaggia”, per indicare certa musica vuota.

            Altra gemma da non perdere è questa: le mani che fanno il bene “non fanno più
            rumore dei fiori quando si aprono”: è l’evangelico monito: “fate il bene in segreto,
            senza ostentazione”. Riepilogano bene lo spirito di queste poesie i versi finali di “U
            ratìn a corda” (li diamo nella versione italiana accessibile a tutti i lettori):


            “La Vita nella sua scia / Viene ad accarezzare / una nicchia di poesia / che non si è
            mai perduta”. Meirana è il poeta che ha raccolto questo valore con la mano gentile
            della Musa Ligure.

                                                                                         Giovanni Giraldi


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