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come ci finivano i pomodori appena colti con un filo d'olio delle nostre olive
          che era di colore verde e gelava d'inverno.
          Nell'orto c'era un capanno per gli attrezzi che era diventato la mia casa e lì
          giocavo con i pentolini, in strada giocavo con Amalia e Angelo, allora si
          entrava gli uni nelle case degli altri senza problemi le porte erano sempre
          aperte. Mi piaceva anche osservare gli adulti: la Recle, che avrei ritrovato
          anni   dopo   come   cassiera   e   buttafuori   al   Cinema   Mignon,   con   la   sua
          espressione un po' accigliata; la Lesta sempre indaffarata perché faceva
          nascere i bambini, con i suoi abiti colorati che mi piacevano molto perché
          diversi dai vestiti scuri delle altre donne della via; la Tina che aveva il
          negozio in via xxv Aprile, dove andavo a comprare il pane e che mi incuteva
          un po' di timore perché era un tipo autoritario che alzava facilmente la voce,
          ma l'atmosfera della panetteria veniva compensata dalla dolcezza di sua
          sorella Giuseppina.
          Poi c'erano i profumi: quello del legno lavorato dalla falegnameria Finoglio
          e in autunno quello del mosto, proveniente dalle cantine dell'Opera Pia.
          Infine   c'era   la   dolcezza   delle   sere   estive,   quando   le   nonne   della   via
          portavano fuori una sedia e si godevano il fresco conversando.
          Quando a scuola studiai la poesia di Carducci “San Martino” rivedevo
          descritto poeticamente ciò che avevo assaporato “..per le vie del borgo..”.
          Piacevolezze, profumi e sapori mi hanno accompagnato per tutta la vita.


































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