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scrivere e congedandosi dai lettori disse di “sperare di averne
               ancora l’opportunità”. In una lettera, pubblicata di seguito, mi
               scrisse che “magari ci saranno altre estati ed altre cose; ho bisogno
               di pensarci un po’”. Avevamo valutato già in allora di raccogliere
               le varie puntate in un volumetto e Tino mi aveva inviato, dopo la
               pubblicazione   su   “Il   Sole”,   i   testi   con   piccole   correzioni   ed
               aggiunte (sono quelli pubblicati di seguito), cui dovevano seguirne
               altri. Il titolo di questo libro, “Spotorno, dove il sole sta di casa”,
               nasce dallo slogan coniato dallo Studio Donat Cattin di Torino - su
               incarico dell'Azienda Autonoma di Soggiorno - e il sottotitolo
               “Sala Congressi” dalla definizione che avevamo dato (inizio anni
               ’60)   al   dehors   del   Bar   Castello,   luogo   di   “convegni   culturali
               notturni” tanto caro a Tino.
               Negli anni in cui furoreggiava quello slogan, il Bar Castello era il
               ritrovo   “ai   margini   della   notte”,   dopo   il   cinema,   il   ballo,   le
               passeggiate, quando le ragazze erano già a dormire, del nostro
               gruppo composito di amici: torinesi, genovesi, milanesi, qualche
               romano, indigeni. Nei nostri discorsi, c’era la velleità di voler
               affrontare i grandi temi dell’esistenza, della politica, i dubbi sulla
               religione, ma poi si finiva sempre a parlare di ragazze, di sport e
               soprattutto si organizzavano surreali “serate a tema”.
               Tino era il vero mattatore: nasone da Cyrano, gran affabulatore,
               raccontatore   di   gran   classe   di   barzellette,   fine   conoscitore   di
               musica leggera di cui possedeva una formidabile collezione di
               dischi che, a volte, andavamo ad ascoltare a casa sua, con qualche
               puntatina in casa di Renata, un’amica, bagnante torinese, che
               abitava di sopra. La casa di Tino, che conoscevo bene perché sua
               sorella, la cara Kiky, mi aveva dato lezioni di latino, era il tempio
               dei lenti: Don Marino Barreto, Nat Kin Cole, The Platters, la
               magica orchestra di Percy Faith, Gino Paoli e gli altri cantautori ci
               “disintossicavano” dalle “sbornie” di rock and roll e twist che ci
               prendevamo ascoltando juke box disseminati ovunque. C’erano
               state anche delle “magiche” serate all’Alga Blu con Umberto
               Bindi, Giorgio Gaber, Maria Monti ed altri affermati cantanti.
               L’Alga Blu era gestita dal “patron” Giannino Pendola che il lunedì

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