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Non mancarono le polemiche con “botta e risposta” specialmente
con la dirigenza dell’Azienda Autonoma di Soggiorno.
Piano, piano ci accorgemmo che l’impegno diventava sempre più
gravoso e così approfittammo, se ben ricordo, dell’avvicinamento
alla nostra attività di Tino Valente per lasciare a lui l’incarico della
redazione che trasferimmo nella sua casa di Via Aurelia. Tino, che
continuò a scrivere articoli sul “Risveglio” e sul “Secolo XIX sino
al 1969, avrebbe potuto fare il giornalista di professione e credo che
questa fosse la sua vera aspirazione. Se avesse seguito la sua indole
ed avesse affinato il suo talento, credo che avrebbe fatto molto bene
quel lavoro. Invece, essendo cresciuto accanto ad un padre
commerciante di materiali edili, si è trovato, dapprima, a studiare da
ragioniere, scuola che non gli si addiceva, come spesso mi ha
confessato, e poi ad affiancare il padre nel lavoro di rappresentante.
Un lavoro di cui, all’inizio, non ci capiva una mazza, anche questo
per sua ammissione; infatti, per poterci capire qualcosa, mi chiese in
prestito alcune dispense di edilizia che mi ero fatto per i miei studi di
perito edile. Un esempio: quando gli parlavo di “pignatte”, durante
qualche “lezione” che mi aveva richiesto sulla materia, lui pensava
che fossero delle pentole da cucina, invece io mi riferivo alle
pignatte in laterizio che servono per fare i solai in cemento armato;
su questi errori lui ci rideva. Le materie tecniche non erano la sua
passione, era decisamente più a suo agio con le materie umanistiche
e con le lingue. Infatti, parlava molto bene l’inglese.
Come dicevo all’inizio, il suo talento avrebbe potuto farlo ben
riuscire nel giornalismo, purtroppo però, come succede a tante
persone, gli avvenimenti e situazioni della vita portano a
percorrere strade per le quali non si è molto tagliati.
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