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pàtina solare, che affollano gli alberghi e la spiaggia. Di
           qui passano con i carretti i venditori di pesce e di frutta, i
           portatori   di   ghiaccio,   vino,   carbone,   gli   erbivendoli,   i

           merciai ambulanti: le massaie con le borse della spesa
           quotidiana, i bei ragazzi mezzo nudi e neri come diavoli,
           che non capisci se siano del luogo o di foravia, con occhi
           di bragia, l'elettricità in corpo, voci che perforano i timpani

           e   l'anima.   Passano   le   donne   che   portano   al   lavatoio
           pubblico   cumuli   di   biancheria,   e   la   riportano   indietro
           detersa, attorcigliata a serpe, stillante nei capaci mastelli

           retti sul capo difeso dal cércine. Alte, fatte a colonna,
           grosse di polpacci e di caviglie, tengono in bilico il greve
           peso con equilibrio di ginnaste: non par nemmeno che

           s'affatichino: lo sforzo non si vede: forse non c'è.
              Mirabili donne. Lavano tutto loro, in paese: laverebbero
           i panni dell'intero mondo, senza stancarsi. Già dalle cinque

           del mattino, coi primi incerti grigiori del cielo, nel silenzio
           ancor pieno di sonno delle cose, dalla finestra le vedo
           comparire a capo la via, camminare spedite, a piedi scalzi.
           Durante il giorno rifaranno, poi, non so quante volte il

           percorso sotto i carichi, sempre con quell'eguale moto dei
           fianchi, quel portamento fiero. Sono le madri dei monelli

           dalla   salute   di   ferro,   che   domani   diverranno   marinai,
           bagnini, scaricatori di porto, calafati, come i babbi e i
           nonni.   E   le   figliole   le   avvezzan   presto   al   lavatoio
           anch'esse.


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