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Le Fornaci di calce

                                      di Lina Sbarbaro






























          "Zia Maria" (o Benedetta 1871-1953) raccontava a noi bambini tanti episodi
          della sua infanzia.
          Di famiglia genovese, trasferita a Spotorno prima che lei nascesse, era
          rimasta colpita dalla differenza di civiltà della sua famiglia e l'arretratezza in
          cui viveva parte della popolazione locale; l'aveva soprattutto impressionata
          la condizione, quasi di schiavitù di chi lavorava alle dipendenze dei ricchi.
          Quante tristi cose aveva visto la bambina.
          In paese quasi tutti avevano un pezzetto di terra, che forniva le patate e la
          verdura per la minestra giornaliera.
          Unica fonte di lavoro retribuito erano le fornaci di calce; i proprietari
          dominavano il paese.
          Mezza montagna è sparita sotto il piccone prima, in tempi più recenti sotto
          le mine.
          Resta una brutta cicatrice che si è creduto nascondere dietro un paravento di
          orribili grattacieli.
          Ciò che ricordava zia Maria risale al tempo "del piccone":le donne del paese
          uscivano ogni mattina al buio per andare a far legna nei boschi, tutto il paese
          ne era risvegliato, davanti ad ogni casa chiamavano le compagne: ai boschi,
          andavano in gruppo.


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