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Quel ragazzo però non sa di essersi imbattuto in pezzo di storia, nel vero e proprio
“monumento” del calcio italiano, nel soggetto dal quale tutto è partito.
La squadra che ha vinto il primo scudetto (che ancora non esisteva) in una giornata di
maggio del fatidico 1898, quando a Milano il generale Bava Beccaris falcidiava la folla
colpevole soltanto di chiedere “pane e lavoro”.
Era l’Italia di Giolitti, Crispi, Depretis, con i nobili che portavano i baffi a manubrio e
inseguivano, sui prati della Piazza D’Armi di Torino o sullo spiazzo di Ponte Carrega a
Genova questo inusuale attrezzo sferico, il pallone.
A Genova poi il gioco era stato introdotto dai residenti inglesi che lo avevano già
praticato in patria soprattutto per impulso di un medico che aveva studio in Campetto
e nella Superba aveva portato tutte le novità: prima il calcio, poi lo scoutismo le cui
regole aveva appreso direttamente da Sir Baden Powell: quel medico era Sir James
Spensley, sarà con il Genoa il tempo di conquistare sei scudetti, poi tornerà in Patria
per immolarsi sul fronte occidentale in uno dei tanti assalti alle colline della Somme.
Quel ragazzo tutto questo non lo sa ancora, è affascinato dalle maglie rossoblù per le
quali ha visto suo padre soffrire per davvero: in una delle loro prime escursioni fuori
dalla piccola cittadina di Riviera, a Torino, di fronte alla Magna Juventus il Genoa va in
vantaggio per 2-0, segna perfino Becattini ruvido terzino da Sestri Levante che mai
nella sua vita avrebbe sognato di fare un goal in Serie A: poi la Juve si scuote, rimonta
e il trio per eccellenza Sivori – Charles – Boniperti confeziona il 3-2 e manda a casa i
genoani con tutti i loro sogni infranti.
In quel giorno di esaltazione e assieme di sconfitta c’è l’inizio di una scelta per la vita:
una “scelta da perdenti” si scriverà tanti anni dopo, ma una scelta di passione vera da
portare avanti con tenacia.
Una scelta di “cambio di campo” che passa dalle rovesciate di Carletto Parola alle
“trattenute” di Carlini; dai fasti bianconeri allo “psicodramma” genoano, quello dei
“perdenti”. C’è un vincente negli insegnamenti del padre, ma dal destino doloroso:
Fausto Coppi.
Perché è difficile portarsi sulle spalle la storia: al Genoa il decimo scudetto è negato dai
fascisti nel campionato delle eterne cinque finali con il Bologna; il Genoa è la prima
squadra a volare per recarsi in trasferta, resta così incollato l’appellativo di “Grifone”; il
Genoa è la prima squadra italiana ad avvalersi degli oriundi, un venerdì dal Conte
Biancamano scende Guilliermo Stabile, “el filtrador”, la domenica scende in campo
segnando tre reti proprio al Bologna cocco del regime; il resto della storia, però in
questo caso non sarà fortunato; il Genoa uscirà perfino sconfitto, in un lontano
campionato, a Savona dai bianco blu “parenti poveri”.
E’ complicato portarsi addosso la storia.
Essere genoani significa prepararsi al tutto e al contrario di tutto: retrocessioni
rocambolesche, spareggi perduti, partite comprate e poi finite in una sconfitta,
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