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Nelle precedenti occasioni però ero stato accompagnato da mia zia Eugenia e da suo
marito Tino Giaccone, erano una coppia molto dinamica e se ci penso adesso anche
molto giovane. Mia zia era nata nel 1924 e mio zio nel 1927, ancorché avesse già
vissuto l’avventura (a 17 anni) di un campo di lavoro in Germania, dopo essere stato
rastrellato dai nazisti dopo lo sciopero del 1° marzo 1944 (in quell’occasione un altro
mio zio, fratello di mia madre, era stato internato a Mauthausen). Ricordo mia zia
Eugenia e mio zio Tino con grande affetto: si erano sposati, in quei tempi, con rito
civile celebrato in Comune dal sindaco Aglietto (una scelta davvero coraggiosa per quei
tempi). Mi accompagnarono loro per la prima volta a Marassi dove si recavano spesso
soprattutto perché mio zio faceva l’arbitro e quindi aveva accesso gratuito allo stadio.
Insomma quel 9 settembre 1953 rappresentò la prima occasione di assistere a una
partita di Serie A con mio padre.
Il viaggio filò liscio e prendemmo posto: in verità in quel momento non ero ancora
stato messo a conoscenza della divisione delle gradinate, a Nord i genoani, a Sud i
sampdoriani.
C’è da precisare che all’epoca permaneva una forte disparità numerica tra le due
tifoserie: i genoani rappresentavano almeno i 2/3 del pubblico. D’altro canto
nell’anteguerra la Sampierdarenese giocava al “deposito del tram” di Cornigliano e i
suoi tifosi si lamentarono molto del trasferimento a Marassi: la supertifosa Esmeralda
scriveva al “Calcio Illustrato”; “siamo costretti ad andare a giocare lontano, laggiù oltre
San Benigno, con questi (i genoani) che fischiano la nostra squadra anche quando
gioca bene.
Ritorno sulla partita: dopo pochi minuti il Genoa andò in vantaggio e tutti attorno a noi
applaudirono. Stessa scena dopo un altro quarto d’ora: 2-0 per i rossoblù e grandi
applausi.
L’esternazione del tifo allora era molto diversa da adesso. I giocatori non esultavano in
maniera spropositata. Si pensi che alla Juventus era vietato abbracciarsi dopo un goal,
al massimo era concessa una stretta di mano al marcatore. Era la squadra della grande
nobiltà calcistica: Agnelli, Boniperti, Parola.
Quel derby dipanò allora il suo svolgimento e più o meno a 10 minuti dalla fine il
Genoa si trovava in vantaggio per 3-1.
A quel punto mio padre disse (i dialoghi si svolgevano rigorosamente in dialetto):
andiamo così non perdiamo il treno, perché la mamma ci aspetta e potrebbe
preoccuparsi. Ovviamente non esistevano i telefonini e non disponevamo neppure del
telefono in casa che sarebbe arrivato, come per quasi tutta la generalità delle famiglie
italiane, nei primi anni’60.
Insomma uscimmo dallo stadio e frettolosamente ci avviamo verso Brignole arrivando
così a casa in tempo.
Il fattaccio accadde l’indomani mattina quando, acquistato Tuttosport (era mio
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