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Sposata con il notaio Nicola Rizzioli da sette anni, si imbarcò il 20 ottobre
1911 con 24 infermiere sulla motonave “Menfi" in aiuto ai soldati italiani
che combattevano in Libia. Scrisse un libro di memorie di quella esperienza
femminile intitolato “Accanto agli eroi. Crociera sulla Menfi durante la
conquista di Libia”, pubblicato nel 1915, con l'intento di sostenere le
volontarie della Croce Rossa chiamate alla prova nella Grande Guerra.
Come crocerossina infermiera passa quattro anni da un ospedale all'altro
dove incontra il "Leone di Spotorno". La sua è una esperienza tremenda:
cura i feriti nel dolore, allevia il morale dei ricoverati, vede morire tanti
giovani, e a tutti dà una parola buona, instancabile.
Scoppiata la guerra organizzò un Comitato di Soccorso per le famiglie dei
soldati bisognosi, fu Segretaria del Comitato di Assistenza Civile di Venezia,
fondò e diresse l'Associazione delle Legionarie di Fiume e Dalmazia. Finita
la guerra, non perde tempo, quale donna con molta esperienza nel 1920 si
iscrive al Partito Fascista, e inizia cosi la carriera di “gregaria fascista”
come amava definirsi. Collabora al giornale “il Popolo d'Italia”, partecipa
come infermiera alla Marcia su Roma, è nominata Ispettrice Generale dei
Fasci Femminili. Credeva all'autonomia decisionale del fascismo femminile.
Si scontrò quasi subito colla componente nazionalistica del Partito Fascista.
In sostanza la Rizzioli credeva di poter dar prova, come gli uomini, di
disciplina interiore e di non essere solo “vestale". Ma anche allora il
femminismo non era ben visto: fu minacciata dalla componente maschile del
partito. Nel 1925, la “gregaria fascista” scrive a Mussolini che “il
Nazionalismo e la Massoneria sono più forti di me” ribadendo l'importanza
del voto femminile. Non è più sorretta dal partito, la rivista da lei diretta si
avviava al tramonto.
Nel 1930 Elisa Mayer Rizzioli moriva delusa e amareggiata.
Ma ora parliamo un po del nostro protagonista Domenico Calcagno detto
“Leone". Venne chiamato dalla Patria e mandato con il VII Reggimento
Alpini battaglione “Belluno” sulle balze del Forame dove vide cadere
davanti ai suoi occhi tanti commilitoni. Venne ferito da un proiettile
deformato che lo aveva colpito ad una vertebra dorsale, distruggendone
l'apofisi ed incuneandosi vicino al rene. Conciato in questa maniera, rimase
tre mesi e otto giorni ricoverato. Era d'estate, immediatamente venne
operato e liberato dei frammenti d'osso e del proiettile, applicando un gran
tubo di drenaggio, spinto profondamente lungo la colonna vertebrale, che
non cessava di generare pus. Cosi lo descrive la crocerossina-infermiera
Elisa Mayer Rizzioli: “...|le sue condizioni erano allarmanti...la gravità
della sua ferita e la necessità di non smuoverlo, lo lasciammo per un mese
senza camicia, ciò che serviva a dirgli la facezia che più lo faceva ridere: di
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