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Quinta parte
In quegli anni Spotorno si apprestava ad assistere alla messa in
scena del "boom" economico che, prima di farsi prendere alla
lettera e "toccarci" (chi più, chi meno direttamente) nella sua
accezione concreta, ci preparò con segnali timidi, ma crescenti e
significativi. Immerso nella mia sbadata adolescenza, che nel
frattempo era diventata vera e propria gioventù, vivevo - in buona
compagnia - applicando il motto "l'ozio è il migliore dei vizi" e mi
guardavo bene dal fare domani quello che avrei potuto non fare
neppure dopodomani.
Ma qualcosa di diverso comunque si percepiva anche perché,
stante la nostra ostinata sordità ai rumori del mondo, si era
presentata l'estate. Nell'aria, nei profumi, nelle sere tiepide, nelle
albe chiare in modo subdolo e struggente. Ma non si era presentata
"quella estate" in particolare, quella di quell'anno (per chi ha
seguito la mia piccola storia). No, era arrivata l'estate definitiva,
l'estate del cuore e della gioia infinita, quando il cuore non è
abbastanza grande per contenerla tutta. L'estate che rendeva ancora
più intense le nostre felici irresponsabilità, l'estate dei nostri
divertimenti più belli; che non posso separare dalle altre che
seguirono e che furono tante e perché a Spotorno, che avevamo
eletto nostra regina, allora, per noi, fu sempre e solo estate. Si
potevano vedere in quei giorni i movimenti che annunciavano
l'imminente "stagione". I bagnini che spingevano carretti con su il
legname-bianco e colorato delle cabine da rimontare, o qualche
barca tolta dal rimessaggio invernale. La febbrile sistemazione
delle case per i villeggianti in arrivo, gli stessi che avevo visto...
partire nel mio primo settembre spotornese.
Quelle e molte altre cose ancora, insieme ad un'allegria leggera,
ma palpabile, che non poteva non essere recepita, neppure dai
volenterosi distratti come il sottoscritto. C'era voglia di fare, di
rifare, di rimettere a nuovo, di ricostruire sulla memoria e con la
memoria di macerie ancora recenti. Non sempre ciò avvenne in
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