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Edoardo Firpo
                                                 (1889-1957)

                              Accordatore   di   pianoforti   e   pittore;   l'enorme
                              successo, soprattutto postumo, riscosso dalla sua
                              poesia, influenzò per lunghi anni la produzione di
                              poesia in lingua genovese e tuttora si può dire che
                              esista una scuola firpiana. Un profondo senso della
                              natura pervade le sue liriche. Amico di Sbarbaro,
                              Montale,   Gozzano,   Baratono,   Fu   un   convinto
                              oppositore del nazifascismo subendo persecuzioni.
          Tra le sue opere si ricordano O grillo cantadô (1931), che ebbe una
          prefazione di Eugenio Montale, O fiore in to gotto (1935), Ciammo o
          martin pescòu (1955).
          Dal romanzo “I FIGLI DI MADAME RÊVERIE” di Bruno Marengo
          (…)”  Poi   salivano   sulla   cima   del   campanile   per   vedere   le   navi
          all’orizzonte. Una volta li seguì un anziano accordatore di pianoforti,
          così mingherlino che riusciva ad infilarsi con estrema agilità persino in
          quei pertugi dentro i quali salivano i gradini, consumati e sconnessi,
          fino a sbucare nella cella delle campane da dove si godeva una vista
          magnifica. Loro non conoscevano quel vecchietto dallo sguardo dolce:
          sapevano solo che era venuto da Genova per accordare il pianoforte a
          mezza coda del fratello del parroco di cui era amico. Quel pianoforte di
          solito era custodito in una saletta della canonica, protetto da una
          coperta imbottita che l’avvolgeva.  (…)  Qualche volta il “maestro”
          accarezzava i tasti del suo pianoforte: “Non ci siamo? Allora ci vuole
          un medico”. E chiamava l’accordatore. Di solito, ne veniva una da
          Savona, ma quella volta spuntò quel vecchietto che, lassù in alto tra le
          campane, sembrava essere diventato più ragazzo di loro. Prima insegnò
          loro il motivo “Frà Martino campanaro”, battendo le campane con i
          martelletti delle ore che erano collegati con fili di ferro al grande
          orologio del campanile e poi, guardando il mare, recitò dei versi:
          “Ecco, pe-a fosca marin-na/un’atra onda a s’avansa;/a gonfia…” (…).
          Questo è un ricordo di quando facevamo i chierichetti e il campanile era
          per noi ragazzi una palestra di giochi. Usavamo le corde delle campane
          come  se fossero delle liane, cercando di imitare Tarzan. Sarà stato
          Edoardo Firpo quel vecchietto? Penso di sì, ma non gli abbiamo chiesto
          come si chiamasse.
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