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Ma per tornate alle “scelte dei perdenti”, credo sia importante ricordare quanto ha
            raccontato Fabrizio  De  André  a proposito  del  suo  tifo  per il  Genoa e  della sua
            predilezione per i più deboli e i “non vincenti”. Il padre, fervente tifoso torinista, lo
            portò con il fratello a vedere proprio la partita Genoa Torino di cui ho scritto all’inizio.
            Il Genoa era più debole ma non meritò di perdere, lottò a viso aperto, sfiorando il
            pareggio. E così lui, che era entrato nello stadio di Marassi da torinista, ne uscì da
            genoano. Posso dire che a me è successa la stesa cosa anche se in un tempo un po’ più
            “diluito”, come racconterò. Cominciammo presto a fare i conti, non accettandola, con
            “l’ingiusta legge del più forte”, come diceva mio padre. Non solo nel calcio, anche nella
            vita. Un vecchio detto dice che la squadra del cuore della prima infanzia non si cambia.
            Posso aggiungere che, almeno per me, c’è stata una eccezione?
            “Al Genoa scriverei una canzone d’amore, ma sono troppo coinvolto”
            “Questa frase è apparsa domenica (8/1/2017), sulle maglie del Genoa nella sfida persa
            contro la Roma (0-1), durante il 19esimo turno di Serie A. Una frase di Fabrizio De
            André per un progetto che vedrà, nelle domeniche successive, citazioni di personaggi
            famosi legati alla storia e alla tradizione rossoblù. Quelle parole del cantautore ligure
            dimostrano l’attaccamento verso la maglia del Genoa, un attaccamento così viscerale
            dal fermarlo a scrivere brani, strofe o componimenti. Lui che ha tessuto poesie su tanti
            argomenti, non è riuscito a scrivere nulla sulla sua squadra amata.
                                                     Fabrizio De André,

                                                     (Genova Pegli il 18 febbraio 1940 -
                                                     Milano   l’11   gennaio   1999),   non
                                                     aveva mai nascosto il suo amore per
                                                     il Genoa, ma forse, solo dopo la sua
                                                     morte è stato più chiaro capire la sua
                                                     vera   essenza:  «Ho   una   malattia»,
                                                     disse una volta il cantautore durante
                                                     un suo concerto. Silenzio, stupore e
             preoccupazione. Poi appoggiò la chitarra, prese una lunga sciarpa dai colori rosso e
             blu e aggiunse: «Si chiama Genoa»”.

            (BY GIOVANNI SGOBBA 11 GENNAIO 2017)
            Sembrano le parole di mio padre, e la “malattia” lui la chiamava “psicudramma
            genoano”. Fabrizio De André ha raccontato, in una intervista, del suo desiderio di poter
            parlare con il padre (scomparso da tempo) ancora una volta. Chissà che questo
            desiderio non sia anche quello che la nostra generazione custodisce nell’intimo del
            cuore.
            Mi tornano alla mente le parole di Alfredo Biondi, avvocato e politico: “Il Genoa non è
            una squadra di calcio, è un sentimento, una fede, una passione che unisce giovani e
            vecchi, donne e uomini”, e quelle del regista Giuliano Montaldo: “Il Genoa è un virus,
            chi si “iscrive” al Genoa si abbona ai patimenti”.

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