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Tornando   al   quartiere   “Madonna   del   Pilone”   di   Torino,   immagino   cosa   avrebbe
       pensato mio padre guardandosi attorno, con quello sguardo “fanciullo” che aveva
       quando era commosso per qualcosa, quando percorreva nella memoria tanti momenti
       vissuti e mai dimenticati.
       Era   un   uomo   mite,   di   grande   buon   senso,   che   amava   il   proprio   lavoro,
       “metalmeccanico di quelli di una volta” e la propria famiglia.


                                              1945/46, foto di famiglia (Ornago): io
                                              con mio padre, Giêumo o Giömin, e
                                              mia madre Rosina









       Quando iniziammo a recarci a Genova per la partita con la mia cinquecento rossa
       nuova di zecca, il ponte Morandi non era ancora stato inaugurato; poi venne il giorno
       della   “prima   attraversata   del   nuovo   ponte”   presentato   come   un   “simbolo   di
       progresso”. Lui osservò tutto attentamente poi mi fece: “Va ben u prugressu… ma
       quelli chi stan lì de sutta?”. Parole che mi sono tornate alle mente subito dopo aver
       appreso della tragedia del crollo del ponte.
       Durante   le   “avventure”   genoane,   l’ho   sempre   visto   o   amareggiato-sconsolato   o
       allegro-festoso. Mai visto arrabbiato, incavolato come tanti. L’unica volta che perse le
       staffe fu durante il ritorno a Spotorno, dopo una partita a Marassi, in una corriera
       della SATI. Non ricordo bene di che partita si trattasse, forse Genoa Lazio 5-2, 18
       maggio 1958, perché eravamo usciti dallo stadio allegri parlando dei gol di Dalmonte,
       Abbadie, Barison (non capitavano spesso delle “goleade”). Partenza da Piazza della
       Vittoria, corriera strapiena. Quel giorno, c’era con noi Marino che frequentava le
       scuole medie ed era convittore ai Salesiani di Varazze. Nella calca mio padre restò
       dietro in piedi, io riuscii a sedermi a metà corriera e Marino davanti. Marino doveva
       scendere a Varazze ma non sapevamo che la corriera avrebbe percorso un tratto di
       autostrada saltando alcuni paesi. Ad un certo punto, ci accorgemmo che Marino non
       c’era. L’autista disse a mio padre che lo aveva fatto scendere in Piazza della Vittoria
       perché non era prevista la fermata a Varazze. Senza avvisarci!!! Mio padre ne disse di
       tutti i colori all’autista, non lo avevo mai visto così. A Spotorno, andammo in un bar e
       continuammo a telefonare ai Salesiani finché non ci dissero che Marino era arrivato
       “sano e salvo”. Gli chiedemmo, poi, del perché non ci avesse avvertiti in qualche modo
       prima di scendere. “Ho solo fatto in tempo a gridare ‘disgrasiôu!’ all’autista… ma dalla
       corriera, nella ressa, non mi avete sentito”, la sua risposta. Inutile dire che era un
       “ragazzino fumantino”.

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