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La prima pagina della
Gazzetta dello sport venerdì
28 gennaio 2018
hanno teso un agguato
ai napoletani prima
dell'arrivo allo stadio.
Immediata la reazione
delle forze dell'ordine:
il questore Marcello
Cardona, parlando di
"azione squadrista" ha
detto che chiederà di
vietare "le trasferte
dell'Inter fino alla fine
del campionato e la
chiusura della curva
dell'Inter fino a marzo
2019, per 5 partite".
Tre ultrà interisti sono
stati arrestati per rissa
aggravata e lesioni.”.
Si è scritto in tante occasioni del calcio come metafora della vita “nel bene e nel male”,
per denigrare gli eccessi di tifosi, dirigenti, atleti oppure per esaltare la virtù di una
necessaria “moralità” della pratica sportiva.
Milano in fine di questo 2018 dimostra come il quadro sia mutato anche se in passato
cose orribili ne sono accadute tante, dall’omicidio Paparelli a quello Spagnolo, fino alla
“summa” rappresentata dalla notte dell’Heysel.
Oggi però il calcio appare come riflesso della scompaginazione sociale provocata
dall’odio di massa, dal razzismo esercitato a piene mani nella quotidianità e anzi
trasformato in emblema di una riscossa politica.
Il razzismo diventato una bandiera da sventolare in faccia a presunti nemici.
Il razzismo come identità.
Si è scritto di “individualismo difensivo”: queste esternazioni collettive come quelle
viste in atto nella serata di Inter - Napoli fanno pensare piuttosto a un “individualismo
della paura”.
La stessa logica insita nell’idea della libertà di sparare per presunzione di legittima
difesa.
Dobbiamo convincerci che ci troviamo a una svolta del quadro di relazioni sociali così
come queste erano state tracciare nella “modernità”.
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