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non si sentiva più un prete. I suoi parrocchiani e
quelli del Comune, con le loro banali e miserabili
piccinerie, non erano diversi da tanti altri ma lui
non li sopportava più e sognava quel giorno in cui
avrebbe potuto urlare dal pulpito: «Andate tutti a
cagare!». Poi, sarebbe andato al Trocadero, dove
aveva ancora qualche amico, a giocare a biliardo.
E poi ancora, a cantare in quel dehors sul lun-
gomare: «I’m in the mood for love… quando ti
stringi a me…».
A volte, però, pensava che nel paese non
c’erano solo i parrocchiani che frequentavano la
chiesa o la cricca del Comune. C’era anche
un’altra umanità fatta di brava gente, d’emar-
ginati, di poveretti, d’immigrati, che stentavano a
sbarcare il lunario. Per quella gente, valeva la
pena di farsi in quattro.
Ora che il mare saliva, forse sarebbe cambiato
tutto. Era proprio il caso di affermare che stavano
muovendosi le acque. I furbi si sarebbero
sistemati altrove sfruttando le “maniglie” che
avevano e gli altri sarebbero rimasti alla deriva,
cercando una mano amica. Don Lupo sentiva
quella responsabilità e, in fondo, sapeva di non
poter cessare di fare il prete. Sentiva anche di
credere: «Certo che credo – ripeteva a se stesso –
se no con chi me la posso prendere?».
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