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                 che l’atto sessuale fosse molto di più di un fatto
                 fisico. Avvertiva un gran malessere di fronte al
                 celibato religioso. Malessere, condiviso anche da
                 altri giovani preti suoi amici con i quali
                 affrontava, sempre più spesso, l’argomento, che
                 derivava dall’imprecisione della sua identità, dalla
                 debolezza delle sue giustificazioni. Non trovava
                 motivazioni significative su cui fondare la sua
                 esperienza di celibato.

                    «Forse che il celibato modifica i rapporti con
                 Dio? Forse il matrimonio è una via inferiore di
                 perfezione cristiana? No! No! E no! Non posso
                 crederci! E poi non è Dio che ha creato l’uomo
                 sessuato?», queste le cose che passavano per la
                 testa di don Lupo.

                    Tempo addietro, era stato molto colpito dalla
                 storia di un sacerdote che, tormentato da una
                 omosessualità che nella Chiesa non poteva vivere,
                 si era tolto la vita.

                    «Signore, la mia croce è diventata troppo
                 pesante, ma so che tu mi capirai», queste erano
                 state le sue ultime parole, scritte in una lettera
                 d’addio.

                    «Quale sofferenza e quale infelicità affettiva
                 avevano potuto portare a tanto?», pensava don
                 Lupo: «Come poteva la Chiesa chiamarsene
                 fuori?».

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