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                 dovuto riconoscere che in quel sacerdote c’era
                 una forza, una determinazione, un’onestà intellet-
                 tuale tali da far apparire, a volte, il vescovo come
                 un povero prete di campagna. Anzi, meno male
                 che c’era lui a correggerne e mitigarne certe
                 alzate d’ingegno.

                    «Quella del celibato è una grave rinuncia…»,
                 gli aveva detto don Lupo.

                    «Rinuncia? Ma quale rinuncia? Hai mai
                 pensato alle responsabilità della paternità, di una
                 famiglia?».

                    «Perché non potremmo fare i preti con una
                 famiglia a carico?».

                    «Noi non siamo frati, quindi non abbiamo
                 scelto principalmente il celibato come forma della
                 nostra vita. Forse, però, la funzione che eserci-
                 tiamo, almeno nelle condizioni attuali, potrebbe
                 richiederlo ancora. Se un giorno richiedesse un
                 harem accetterei anche quello. Come puoi farne
                 un problema così grande?».

                    «E allora?».
                    «Allora dobbiamo chiederci cosa si aspettano
                 da noi… la responsabilità è la nostra… fare il
                 prete non è un precetto militare ma se lo si fa… lo
                 si fa! Con moglie o senza! ».
                    «Cosa si aspettano da noi? Chi? Non capisco…
                 noi lo facciamo soli come cani, ai margini della

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