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un nome così non poteva che essere bello. Erano in pensione da
               Camillo. Un portoncino verde sotto un arco di Via Mazzini; una
               casa piccola, semplice e all'interno bianca di calce. Camillo, basco
               in testa e mezzo toscano perennemente tra le labbra, era burbero e
               buono come il pane e tollerava con ruvida indulgenza i non pochi
               decibel che prorompevano dal nuovissimo Lesa a valigetta di
               Giulio. Passammo pomeriggi interi ad ascoltare gli "ultimi" 78
               giri, i "padelloni", così li chiamavamo. Furono i primi vagiti, a
               tutto volume, di una passione che non ci abbandonò più. Oltre al
               giradischi, Giulio esibiva i blue-jeans; fu il primo. Glieli aveva
               comprati suo padre a Genova, in Via Prè ... e questa provenienza
               di sapore men che ortodosso doveva suonare come garanzia di
               qualità. Due tubi di cartone azzurro scuri, simil tela ..., con doppio
               risvolto in fondo, tali da far apparire il mio amico come piantato
               in un vaso di terracotta. "Ma sono originali", rispondeva Giulio
               alle nostre maliziose perplessità. Feci in tempo a vedere, "dal
               buco della serratura", una delle serate di gala che si tenevano il
               venerdì nel salone del Premuda. Le signore in lungo e gli uomini
               in abito scuro che, recitava l'invito, era "gradito". L'orchestra
               suonava valzer importanti e i camerieri svolazzanti come rondini,
               dribblavano eleganti tavolini. Se ci penso oggi, quelle serate da
               grandi e da "signori", potevano rappresentare forse uno dei primi,
               significativi segnali di risveglio, di volontà di riprendere fiato
               dopo anni di faticosa apnea.
               Per me invece era dura a far tutto in quelle giornate di sole blando,
               impigrito sugli intonaci della case! Ma scoprii la Pineta, da subito
               con la maiuscola nei miei occhi ammirati. Raramente soli, sovente
               in   folta   schiera,   più   tardi   (ma   mica   tanto)   tenendo   per   mano
               qualche "tedeschina", la percorrevamo quasi in silenzio, chissà
               fino   a   che   punto   consapevoli   di   una   palpabile   ma   misteriosa
               inviolabilità. E qualcosa dentro entrò; prima che il rispetto per
               l'ambiente diventasse vera e propria cultura, avevano agito sulle
               nostre coscienze di creta magari una famiglia, un buon maestro di
               scuola,   qualche   saggio   ammonimento   per   tenerci   lontani   per
               sempre dall'insensibilità, dal disprezzo del bello che in tempi

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