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Quarta parte



          Il   mio   desiderio   di   non   lasciare   Spotorno   fu   in   famiglia
          necessariamente e felicemente condiviso. Papà stava recuperando
          energie e la serenità di quella "nuova" vita gli aveva consentito di
          riprendere gradatamente il lavoro. Si era allontanato lo spauracchio
          del rientro in città. Zio Luigi, come promesso, si era preoccupato
          per   tempo   di   facilitarci   il   trasferimento   in   un'altra   casa.   Ora,
          quell'accogliente rifugio nascosto tra i pini, con l'approssimarsi
          della stagione estiva gli sarebbe servito. Dovevamo già molto a
          Zio Luigi e alla sua famiglia ed io, credo per la prima volta,
          compresi appieno cosa fosse un'amicizia vera e fino a dove potesse
          spingersi. Un rapporto antico, profondo e virile, che con i figli e i
          nipoti si è protratto avanti negli anni in affettuosa e silenziosa
          osmosi. Un altro villino dunque, con il cancello sull'Aurelia e
          l'ingresso principale in Via Cavour. Ne erano proprietari e ne
          abitavano il secondo piano, un anziano medico e la sua famiglia:
          moglie e tre figli. Con i nuovi venuti furono da subito gentili e
          disponibili. Con Elena, Giulio e Pupo diventammo subito amici e
          ci   divertimmo   un   mondo.   Dalla   strada,   filtrati   da   un   piccolo
          giardino, arrivavano lievi i rumori del traffico, ma non riuscivano a
          disturbare la quiete di quelle mura, e quel tinello protetto da una
          finestra bianca a bovinda, era sempre pieno di luce.
          Viaggiando in treno per andare a scuola a Savona simpatizzai con
          Guido, un atletico coetaneo (fondista, mi pare, e anche corridore)
          con il quale condividemmo simpatie femminili, che in qualche
          caso   ebbero   risvolti   sentimentali,   tanto   struggenti   quanto   non
          corrisposti.   Ci   trovavamo   poi   alla   sera,   quasi   in   segreto,   per
          scambiarci   sensazioni,   per   interpretare   segnali,   per   disegnare
          inutili fantasie. Ma noi non sapevamo che fossero inutili, tanto è
          vero che su di esse scrivevamo anche a due voci la colonna sonora,
          canticchiando languidi motivi allora in voga. Osservo mio figlio
          che smanetta in continuazione sul cellulare senza sapere cosa si è
          perso. Grazie Guido è stato bello così. Verso Marzo o Aprile che

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