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fosse, cominciai ad accusare forti mal di capo, svogliatezza (ma
               va?) e inappetenza. Insomma mi fu riscontrata una discreta anemia.
               I conti e i colori dei miei globuli non tornavano. "Occorre toglierlo
               da scuola!" sentenziò lo zio medico; "...ha bisogno di riposo (ma tu
               pensa...) e di seguire una cura ricostituente...". E se lo diceva lui
               non c'era da discutere. Già volevo bene a quello zio, ma da allora
               divenne un vero e proprio mito. Mi dovevo dunque organizzare e
               impostare, con tanto di certificato medico, quell'inaspettato esubero
               di tempo libero. Con Angioletto, Sandrino, Mario, l'indimenticabile
               Pelide, ricco di bontà e di umorismo, prendemmo a frequentare la
               chiesa. Ma non proprio dalla parte dell'altare, bensì dietro... la
               sacrestia   e   soprattutto   la   canonica.   Scoprimmo   in   quest'ultima
               reconditi ripostigli. Uno in particolare, odoroso di incenso e di cera,
               penso fosse la stireria, era pieno di statue di santi e madonne dai
               volti attoniti e scoloriti, di cristi monchi, di candelabri e candelieri
               scrostati   e   di   logori   paramenti.   E   noi,   come   carbonari,   ci
               imparammo a ... giocare a poker. Non posso affermare che ci fosse
               consapevole   irriverenza,   ma   neppure   negare   che   aleggiasse   un
               piacevole  senso  di  colpa,  ingenuamente   blasfemo.   Nelle  fughe
               perigliose sulle irte scale del campanile - per noi piene di mistero -
               ci faceva compagnia un nutrito gruppo di ragazze: la Giò, la Piera,
               la Gabri, la Maria, la Flora ed altre ancora. Di una, minuta e dagli
               occhi di cerbiatto spaventato, conservo ancora oggi un ricordo
               tenero e affettuoso. Lo sfuggire all'ubiquo e iperattivo don Quaglia
               e allo ieratico don Aragno, dalla voce stentorea e dalla tonaca
               perennemente "pluridecorata" era trasgressione bella e buona. Ci
               bastava persentirci in giusta misura peccatori. Intanto la Primavera
               andava esaltandosi nell'esplosione dei suoi colori più belli. Le
               colline circostanti, i promontori, sembravano macchiati a caso da
               un pennello frettoloso. In una tiepida mattina di Marzo passò la
               Milano - San Remo; la "corsa del sole" l'aveva felicemente definita
               un brillante giornalista sportivo, e mai definizione fu più azzeccata.
               Nel pomeriggio ci stivammo nella cucina di Rossi, in via Cavour,
               per vederne l'arrivo in TV.
               Il buon Rossi era stato a Spotorno uno dei primi a possederla e mise

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