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anime che abitavano le lunghe file di case posate a mo' di presepe
          marino sul bordo dell'Aurelia, allora vera e propria "consolare"; le
          separava dal mare il trine multicolore degli oleandri. D'entroterra,
          ancora poco. Dietro il primo fronte di case, e parallele tra loro, Via
          Cavour e Via Garibaldi che prolungavano a levante in Via Mazzini
          e   Via   XXV  Aprile,   tenute   insieme   da   un   ordito   d'archetti   e
          "caruggi" dove saettavano gatti improvvisi, sotto la biancheria
          stesa ad asciugare. Ma la vera e propria "chicca" erano le Strette;
          autentico budello di pietre a secco, spigolose ed alte sulle quali
          sovente   ci   sbucciavamo   le   nocche,   volendole   percorrere   in
          bicicletta oltre i limiti suggeriti dal buon senso. Ma cos'era allora e
          a quell'età il buonsenso? Usciti dalle Strette s'era già in campagna:
          le Baxie, Via Verdi, Nicei, Prelo, la Torre dove esordii come guida
          accompagnandovi una marcantonia austriaca, già datata, che per
          un bel po' mi spedì bellissime cartoline da Vienna. Nel mio piccolo
          avevo acceso la miccia che ci avrebbe portato in Europa ed iniziato
          un   rapporto   stabile   di   collaborazione,   più   avanti   in   ottima
          compagnia, con l'Azienda Autonoma di Soggiorno. Arrivò anche
          puntualissima la prima cotta. L'oggetto di quel puberale desiderio
          era un'esile biondina che si chiamava Tecla.
          Già nel nome evocava qualcosa d'etereo e nobile; infatti era figlia
          di un barone che abitava la villetta vicino alla nostra, a due passi
          dall'arenile. Come acchito sentimentale a Spotorno non fu male.
          Nella mia ansia di scoperta mi fu sodale, da subito, il Sandrino,
          che incontrai la prima volta sul molo del Sirio in un pomeriggio di
          nuvole basse e nervose. Un viso appuntito sotto una berretto alla
          francese, fasciato da un impermeabile color ruggine e a cavallo di
          una vecchia Porasso; io invece galoppavo su una Bianchi d'epoca
          sulla quale papà avevo lavorato molti anni, prima di concedersi il
          lusso della Vespa. Sulla spiaggia, la retroguardia dei bagnanti, che
          godevano dell'ultimo sole e di quell'acqua già fredda, ma limpida
          come il cristallo. Presto sarebbero anche loro ritornati alle città di
          residenza consentendo ai rispettivi locatari d'abbandonare garages
          ed altre sistemazioni di fortuna per riappropriarsi delle loro case.
          Verso sera andavo al Premuda ad aiutare i bagnini, Arnello e Dea,

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