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la prima guerra mondiale. Già di proprietà del Genoa, che lo costruì, attualmente è di
proprietà comunale (con intenzioni di vendita). Nel 1979 la via, che corre tra il torrente
Bisagno e lo Stadio, venne intitolata a Giovanni De Prà, portiere genoano degli
scudetti 1922/23, 1923/24.
Ero molto piccolo (avevo 4 anni, l’età del mio nipotino Ettore) ed ho conservato solo
ricordi frammentari: il viaggio in treno con mio padre ed il suo inseparabile amico
genoano Pino Papalini: “Bezêugna vinse… a zûgâ ben u ghe sempre tempu!!!”.
L’indimenticabile impatto con la “Nord”, tra cori e sventolio di bandiere, stando nella
“Fossa dei Grifoni” sulle spalle un po’ di mio padre e un po’ di Pino.
Di quel pomeriggio allo stadio, ricordo anche la confusione, la voce proveniente da un
altoparlante. Ho più nitido, invece, il ricordo di un viaggio, qualche anno dopo, in
compagnia di mio padre, genoano di fede, di suo cugino Giuanin Cerutti, sampdoriano
(già corridore ciclista e poi dirigente calcistico), del loro amico Giuseppe Gatto, “Beppe
u Testun” (genoano di ultra fede), e di mio cugino Marino Santiglia (genoano, nipote di
Giuanin, abbiamo giocato insieme al calcio nella Spotornese del “Presidentissimo”
Bagnarino. L’anima genoana della squadra era il capitano Piero Bertolotti, mezz’ala
raffinata, poi valente medico). Giuanin aveva un camioncino su cui salimmo seguendo
le indicazioni di mia madre, che aveva portato due cuscini in modo che io e Marino
stessimo più comodi. Giuanin e mio padre davanti; io, Beppe e Marino dietro, tra la
ruota di scorta e un bidoncino d’olio da portare a dei parenti di Valleggia. Ho ancora in
mente le raccomandazioni di mia madre, Rosina, a mio padre: “Tegnili pe man! Me
raccomandu! Che ti quando u se tratta du Zena ti ve in confuxiun!!!”. Raccomandazioni
che avrebbe ripetuto a mio padre per anni. Anni in cui si andava spesso a Genova per
la partita con Giuanin (che era passato dal furgoncino all’Ardea), con tappa nell’antica
Osteria del Toro a Sampierdarena (il gestore era amico di Giuanin). Trattoria
sampdoriana, ma dove però mio padre andava volentieri perché cucinavano un
delizioso minestrone, una magica trippa e uno stoccafisso sopraffino.
Quando Giuanin non poteva venire, partivamo in treno “all’alba” (insieme a tutto il
“ghota del genoanismo” spotornese) con tappa, prima della partita, sotto la casa di
Paganini in Passo di Gattamora (e una passeggiata nel quartiere di via “Madre di Dio”)
e poi, altra tappa, in un’osteria nei pressi di Marassi dove Giuseppe Gatto, “Beppe u
Testun”, aveva depositato in custodia l’asta di legno della bandiera del Genoa, troppo
scomoda da portare in treno ogni volta (allora non c’erano le aste di plastica).
Avevamo con noi il pranzo al sacco e nell’osteria loro si bevevano un quartino di vino e
io la gassosa. Grande fu il dolore di mio padre quando non trovammo più la casa di
Paganini (da tempo in stato di abbandono, tra transenne, erbacce, rifiuti,), demolita
per lasciare spazio ai “giardini di plastica”: “Ignuranti! Demulì a cà de Paganini!!! E a
sutteralu i g’han duvüu pensà quelli de Parma!!! Eh… sti zeneixi… i n’han interróu u
portu, distrütu a Cattedrale in sciou Priamar… de bun i han fundou u Zena… che poi i
sun stèti i ingleixi… u Spensley… pe ninte u se ciamma Genoa all’ingleise…”.
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