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Ho aperto questa “parentesi paganiniana” e ricordato le sorte toccata al quartiere di
       Via “Madre di Dio” perché ho ancora davanti agli occhi le tante “trasferte” a Genova
       con mio padre. Voleva sempre partire di mattino presto per poter fare in tempo, prima
       della partita, ad andare in Passo di Gattamora e poi a “fare due passi” in Via dei Servi,
       Via Madre di Dio, Via del Colle, Campo Pisano, Sarzano, Ravecca. La Genova fatta di
       pietre e sassi. La Genova dei gatti e delle gattare, introversa e sorprendente, la Genova
       di   Dino  Campana   (“Sotto   la   torre   orientale,   ne   le   terrazze   verdi   ne   la   lavagna
       cinerea…”), di Edoardo Firpo (Tutta Zena ciù un caröggio”), che ti entrava dentro, che
       si poteva gustare soltanto se la si girava a piedi, ammirando le meraviglie che ti si
       paravano davanti improvvisamente, uscendo da un vicolo.
       Mio padre, violinista, che per anni aveva suonato nelle sale da ballo della Riviera, nelle
       feste e nei matrimoni in chiesa, spesso esprimeva la sua amarezza per come era stato
       trattato Paganini  dalla sua città natale  (l’altra Genova,  quella del  “potere”). Gli
       venivano i lacrimoni come quando parlava della tragedia del grande Torino, di Valerio
       Bacigalupo   (vadese   che   veniva   a   Spotorno   d’estate),   di   Fausto   Coppi,   il
       “campionissimo”.













                                                    Il   grande   Torino,   mai
                                                    dimenticato



       Ogni anno, accompagnava me e Marino (sul furgoncino con Giuanin Cerutti alla guida)
       a vedere passare la Milano Sanremo sul Berta. Un “pranzo” con panino e gassosa e poi
       finalmente passava il “campionissimo”. “U l’ea frescu”, era il commento che faceva
       sempre a proposito di Coppi, naturalmente.
       Ricordo che non riusciva a darsi pace quando leggeva sul giornale le notizie della
       vicenda che segnò un momento veramente difficile e amaro della vita di Fausto Coppi:
       la relazione con la signora Giulia Occhini (“la dame en blanc”). Entrambi sposati,
       suscitarono scandalo in un’Italia conformista ed arretrata. Giulia Occhini dovette
       affrontare  un processo con  l’accusa di  abbandono del tetto coniugale  (fu anche
       arrestata e subì il domicilio coatto). Mio padre scuoteva la testa: “Che verghêugna…
       che razza de lezzi! Che ingiûstizia!”. L’ultima partita di calcio vista da Fausto Coppi fu
       Genoa Alessandria 1-0 giocata il 20/12/1959. Io, mio padre e Patrizio Balbontin
       eravamo nei “distinti”. Nell’Alessandria, giocava il sedicenne Gianni Rivera.

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