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del servilismo, entro la cui prospettiva definisce
la propria visione del mondo, sulla quale vorrebbe
intonata quella altrui: anche dei titolari dell’au-
torità che egli riconosce. E del Vescovo e della
religione, i cui apprezzamenti sulle sue labbra
sembrano addirittura forzare i toni del grottesco.
Non altrettanto imperative egli riconosce le esi-
genze della legge. Che egli riesca a coniugare con
tutto questo sinceri e positivi sentimenti continua
a sorprenderci: che non dipenda da una nostra
insufficiente riflessione sulla “banalità del male”?
Tugnin non è profeta inascoltato, solo gli impe-
disce d’essere cieco come gli altri l’amore del
paese, della sua gente: sincero, dolente, ma non
accompagnato dalla forza e dal coraggio di porsi,
nell’impegno e nella lotta, al fianco di coloro ai
quali si sente cordialmente vicino.
Giovane prete in crisi circa la propria voca-
zione, sensibile al fascino di una giovane can-
tante, sorpreso da una nuova comprensione della
sessualità e del celibato, dilacerato da interne con-
traddizioni, s’affaccia il protagonista del
romanzo: don Lupo.
Intelligente e colto, la crisi sembra ad un tempo
acuirne e ottunderne la capacità critica.
Imprudente, incline ad un ribellismo un po’ di
maniera, reso intollerante dalla delusione e dal
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