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con don Lupo dell’incresciosa situazione che si
era determinata. Gli avrebbe chiesto di lasciare, in
umiltà, la parrocchia. Ripeteva a voce alta: «Don
Lupo non può estraniarsi, anzi entrare in colli-
sione con i suoi parrocchiani: Sicut populus, sic
sacerdos!».
Don Lupo si trovava in chiesa. Lo raggiunse un
giovane che si voleva confessare. Era il figlio del
medico del paese. Era un gay. Il suo compagno lo
aveva abbandonato dopo avergli attaccato una
grave malattia. Stava male ed era disperato. Non
sapeva come dirlo ai genitori.
Il vescovo entrò in chiesa.
Chiese a Don Lupo di lasciare il paese: «Sicut
populus, sic sacerdos!».
Gli spiegò che la situazione era ormai troppo
deteriorata e che sarebbe stato opportuno che lui
avesse deciso “spontaneamente” di andarsene.
Avrebbero esaminato insieme una possibile
soluzione. Il vescovo accennò ad un incarico d’in-
segnate in seminario e gli rimproverò certe ami-
cizie fuori della Chiesa, con miscredenti.
Don Lupo reagì polemicamente: «Quale
popolo? Quello dei bigotti? Degli ipocriti? O
quello della povera gente?».
Parlò del Concilio Vaticano II: «Quali miscre-
denti? Non essere cattolico è diventato legittimo.
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