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«Non ho detto questo. Don Lupo, se lo conosco
bene, continuerà a fare il prete solo come un cane,
rinunciando alla sua felicità. Perché non ci
possono essere preti felici?», il tono del giovane
era accorato.
Il vescovo ascoltò quelle parole un po’ ingenue
ma sincere e, piano, piano, si fece strada in lui un
ripensamento su quel giovane parroco.
Il Cipolla rincarò la dose: «Guardate il mondo
reale e lasciate stare il latinorum che tanto non lo
capisce nessuno. Io faccio il ferroviere e ne vedo
di gente… e vi posso dire che di don Lupo ce ne
vorrebbero tanti in questo mondo».
Il vescovo fu circondato da alcuni parrocchiani
che gridavano al miracolo perché il mare si stava
fermando. Il suo segretario raffreddò nuovamente
gli entusiasmi: «Che nessuno gridi al miracolo a
sproposito, parlatene con don Lupo».
«Don Lupo? Sapete dov’è adesso? E’ con dei
figli d’immigrati a portare del cibo ai gatti che
sono stati abbandonati. Pensa più ai gatti che ai
suoi parrocchiani», urlò un distinto signore.
«Lo credo bene: dai parrocchiani mi salvi Dio
che ai gatti ci penso io…», fece ridendo il Cipolla
mentre Russuna-Mussuna lo applaudiva.
Il vescovo, salendo sull’imbarcadero, disse al
segretario: «Può darsi che qui sia accaduto un
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