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sabbia, con le sue piccole grotte incastonate in
straordinarie falesie a strapiombo sul mare, il
tempo d’incanto si fermava.
«Su questo cono di pietra si materializza la mia
anima, il mio sentire il mondo», ripeteva spesso
alla sua ragazza, che se lo abbracciava.
Quell’isolotto si era salvato, a differenza del
paese, dalle spericolate operazioni di “rilancio
turistico” che l’amministrazione comunale pro-
muoveva in continuazione e che erano, di solito,
speculazioni di privati chiamate con nomi ridon-
danti: “Oasi di benessere”, “Turismo 2000 e
oltre”, “Porto dei desideri esauditi”. Lo studente-
bagnino, ogni qualvolta vedeva comparire una gru
in compagnia di ruspe, tremava. Sapeva come
sarebbe andata a finire: i luoghi che gli erano
tanto cari sarebbero stati violati con interventi da
periferie urbane. Nulla era risparmiato, vecchie
ville, palme, pini, ulivi, eucalipti. Nulla sarebbe
stato più come prima. Tutto ciò lo turbava, lo
feriva. Si chiedeva spesso come fare per mettere
un argine a così tante barbarie e ne parlava con gli
amici che, però, erano afflitti da una specie di
fatalismo che li aveva trasformati in osservatori
critici ma passivi.
Solo don Lupo, il parroco di quel piccolo paese,
lo stava a sentire e sempre più spesso tuonava dal
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