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suo amico, un’ossessione. Per la verità, anche lui
si era convinto che il mare si stesse alzando, un
po’ perché Tugnin gliene parlava tutti i giorni e un
po’ perché lui stesso aveva osservato il fenomeno.
Lo studente-bagnino frequentava, da qualche
anno, una ragazza di città, anche lei universitaria,
che tornava ogni estate. Andavano, in barca a vela,
ad appartarsi su di un isolotto, in una caletta soli-
taria, che era diventata il loro “posto”. E proprio lì
si vedeva ad occhio che il mare era salito sino a
coprire completamente il basamento di un
vecchio bigo arrugginito che, sino a pochi anni
prima, era completamente all’asciutto.
Il giovane studente-bagnino se n’era accorto
perché era un attento osservatore dell’ambiente
che lo circondava. Di quell’isolotto, conosceva
ogni pietra, ogni scoglio, ogni anfratto. Quando si
sedeva, in compagnia della ragazza, su qualche
sperone di roccia calcarea, a picco sul mare, tra
malva, campanule e lentisco, osservava sempre
con attenzione i nidi dei gabbiani, i muscoli e le
patelle che facevano capolino dagli scogli, a pelo
d’onda. C’era un arbusto, di cui non conosceva il
nome, che gli piaceva particolarmente: perdeva le
foglie all’inizio dell’estate per farle rinascere in
autunno. Quando fissava la linea dell’orizzonte
oppure la costa, con le sue insenature orlate di
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