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Papà per l'occasione comprava la “fügassa cu'à gungurzola” e dopo che si
          erano serviti gli uomini - che facevano i lavori pesanti - anche una piccola
          parte spettava a noi: per me quella sarà sempre la focaccia più buona del
          mondo (e l'unica che mangiavo per tutto l'anno), se ci penso sento ancora
          adesso il profumo che si spandeva nell'aria frizzante del mattino.
          Cominciavamo quindi di buona lena a tagliare i bei grappoli dorati di
          lumassina, trebbiano, poco rossese e a riempire i “gòci” di legno che gli
          uomini portavano a spalle fino al punto di raccolta per essere poi trasportati
          nella cantina sociale dell'Opera Pia Siccardi.
          Che divertimento per me, con i miei fratelli e l'amica Eugenia schiacciare
          con i pugnetti l'uva :“ciak ciak” sprizzava il mosto dentro il gòciu, e quando
          il   portatore   di   turno   issava   il   recipiente   sulle   spalle   volavano   larvate
          imprecazioni: “accidenti, chi l'ha riempito così tanto....che pesa come un
          piombo...” e noi a ridere di gusto.

































            Maria Toso, MarcoToso, Eugenia Finoglio, Giuseppina Toso.

          Ho capito solo molto tempo dopo perché c'era bisogno di tanta gente per
          fare la vendemmia: la Collina era un fondo tutto in salita, per cui tutto era
          portato a spalle e lavorato con la zappa.
          Ci voleva solo la testardaggine di mio padre di voler coltivare una terra



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