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Parole di affettuoso ricordo; le stesse che mi ripeteva quando andavo a
visitarlo a Sanda, al Santuario di Savona e poi durante tutta la sua lunga
malattia al Cottolengo di Torino (dove subì l’amputazione di una gamba), al
Santa Corona sino alla Presentazione di Loano.
Parlavamo di “lontane cose comuni”: la messa in latino, da servire prima
della scuola e la domenica in “pompa magna”, le novene dei morti, la
benedizione delle cascine, la costruzione del presepio, le processioni, le
mascherate a carnevale, le ciambelle della Rosa (perpetua brava e
brontolona), le prime gite “fuori porta” con tutto il paese dietro (grandi e
piccoli) al Santuario di Mondovì (dove scoprimmo la televisione), a Nizza e
a Montecarlo.
Quei campeggi estivi organizzati alla buona a Entracque ed a Certosa Pesio.
La costruzione del “campetto dell’Esperia” sotto la casa di Camillo
Sbarbaro, che ci osservava incuriosito.
A fianco della
porta d'ingresso,
la targa con la
dedica in rima
dialettale scritta
da Cipriano Toso,
in occasione
dell'inaugurazione
della casetta
costruita
per volere
dei parrocchiani
Le interminabili partite di pallone e la casetta dell’Annunziata (con la dedica
in rima dialettale di Cipriano Toso) dove noi ragazzini, tutti sporchi e sudati,
tra un suo racconto (celeberrimo quello del “miracolo della campana
dell’orologio di Orco”, capitato durante la guerra di liberazione) ed
interminabili discussioni “sul bene e il male”, sul “giusto e l’ingiusto” e la
nostra coscienza, trascorrevamo quei “magici momenti” che spesso mi
ritornano alla mente, nell’agire quotidiano, attraverso un nome, un volto ,
una parola, una sensazione.
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