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Ci voleva almeno mezz'ora di strada per arrivare lassù, la vita quindi era
isolata dal resto del mondo, solo l'immancabile amica Nanda arrivava a
portarmi i compiti – un anno che avevo fatto una lunga malattia – prima di
andare a casa, facendo impensierire la mamma che la aspettava per pranzo.
Come tradizione delle famiglie contadine tutti dovevano lavorare per quello
che potevano, anche i bambini, e quindi, dopo la scuola il compito di
ognuno di noi era quello di riempire un cestino di erba a testa per i conigli,
usando dapprima un coltello senza punta e poi una piccola falce.
Di mano in mano che si diventava grandi aumentavano i compiti: da
innaffiare col solco a raccogliere la frutta, portare la legna in casa per
accendere la stufa, fare i lavori domestici .
In quegli anni l'attività principale era coltivare della frutta, specie le
albicocche – piccole con i pallini rossi, buonissime – ne raccoglievamo
quintali e quintali, che venivano vendute a trenta lire al chilo, di cui a noi
spettava la metà, perché eravamo a mezzadria.
E poi c'erano le bestie nella stalla da accudire, fonte più di sostentamento
che di reddito, e a questo proposito non potrò mai dimenticare un doloroso
evento che colpì la famiglia in un freddo inverno.
Per l'occasione noi bambini fummo allontanati perché quelle erano “cose da
grandi”, fu per noi un pomeriggio di festa a scorrazzare per i vicoli di
Spotorno e raccogliere coccole dalla care zie del “monte”.
Quando alla sera, tornammo a casa la nostra euforia si spense subito, c'era
una aria grave e solenne, e la mamma con gli occhi gonfi: “sono nati due
vitellini – e sono morti – adesso dovremo passare l'inverno con la sola
vendita del latte”.
Non avrei mai pensato che vivere anche inconsapevolmente così a contatto
con la natura, sarebbero rimaste indelebili nella mente e nel cuore le
sensazioni vissute: dalle notti di luna piena squarciate dal canto di mille rane
d'estate, o dal risucchio del mare d'inverno; dal sapore delle giuggiole alla
dolcezza di un sacchetto di noci come regalo di compleanno.
L'evoluzione dei tempi trasforma tutto e ci lascia orfani delle “ nostre cose”;
e pensare che una volta, mentre pascolavo le pecore mi ero distratta - forse a
rincorrere i miei sogni - e fui punita severamente per aver lasciato brucare i
germogli di una piccola pianta di fico. Quando dopo anni ho rivisto quel
fico coperto di rovi mi sono chiesta se valesse tutti i miei pianti.
Stare lassù era una scelta di vita, che ci ha plasmato nella semplicità e nella
continua ricerca dell'essenziale, come dice una filastrocca che mio Padre
recitava fino a tarda età - l'aveva letta da ragazzo su “la Domenica del
Corriere” e non l'aveva più dimenticata - essa racchiude tutta la filosofia del
suo modo di essere.
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