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dalla perdita di una figlia e di un marito, nonostante si sia anche risposata e abbia avuto una vita relativamente
felice per altri 12 anni. L’ho persa nel ‘68, l’anno in cui mi sono sposata, nel giorno dell’anniversario
dell’affondamento».
Linda è ferita e resta due mesi al St. Vincent’s Hospital di New York.
Qui conosce anche il suo salvatore («Mio padre è rimasto in contatto con Garcia Polanco per alcuni anni, so che
aveva sempre bisogno di soldi, ma poi lo abbiamo perso di vista»), il quale le restituisce anche il suo quaderno
degli autografi, incredibilmente riapparso sulla prua della Stockholm («Lo conservo ancora»). E poi, comincia
la sua «seconda vita». Le medie superiori in Pennsylvania, la laurea al Sarah Lawrence College di New York,
l’incarico a Washington per l’Office of Economic Opportunity, dove incontra Phil, con cui si trasferisce in
Texas, dove lui comincia la carriera legale. Lei insegna in una scuola di Santa Fè, dirige la biblioteca del San
Antonio Museum of Art, cura la Tobin Theatre Arts Collection del McNay Art Museum e ora il Tobin Theatre
Arts Fund. «Ho una vita professionale molto piena e sono attiva nella vita cittadina di San Antonio, dove
pochissime persone conoscono il mio passato. Anche la mia vita familiare è molto gratificante. E ora che nostra
figlia è tornata a vivere qui è ancora più bella».
Una vita normale. O quasi. «Si soffre per il rimorso di essersi salvati, ma il tempo attenua il dolore». Lo
chiamano il «male dei sopravvissuti» e Linda non vuole condividerlo nemmeno con gli altri superstiti. «Non
partecipo alle riunioni. Anzi, mi chiedo quali potrebbero essere gli argomenti di conversazione di questi
incontri. Io ho sempre evitato di guardare film che trattano di navi e non ho mai letto un libro sull’Andrea
Doria, che lascio a mio marito».
«Mamà, dónde estás?», l’eco di quell’urlo non si è ancora spenta. «Cerco di vivere pienamente, cercando di
sfruttare ogni opportunità per rendere il mondo leggermente migliore. Credo di averlo fatto finora, anche
abbastanza bene, pur se avrei voluto fare di più. È su questo che voglio concentrarmi, anziché pensare a quanto
accaduto 60 anni fa e perché, domanda alla quale non so dare risposta. Non penso al naufragio, ma a ciò che ho
fatto dopo quella notte. Continuamente».
FABIO POZZO PUBBLICATO IL25 Luglio 2016 ULTIMA MODIFICA 01 Luglio 2019 11:07
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