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In conclusione si può dire che la popolazione ligure guardava il mare con ansia
          e preoccupazione, per le continue minacce e per la paura di vedere scomparire
          in un batter d'occhio i loro giovani, oltre che essere derubata dalle già scarse
          risorse frutto di un duro lavoro

          Giulio Giacchero ben descrive lo stato d'animo di quelle popolazioni che non
          soltanto temevano di essere depredate ma “... ad accrescere l'ambascia, in ogni
          casa, dove madri e mogli esemplari lavoravano, pregavano ed attendevano il
          loro uomo lontano sul mare, i cuori e i cervelli scandivano un interrogatorio
          continuo che non poteva essere sdradicato da quelle anime martoriate.  Che ne
          sarà di mio marito? Quale sorte il destino riserva a mio figlio? Per tutto il
          tempo in cui la vela e il remo furono i soli strumenti di navigazione, i naufragi
          erano una ricorrente vicenda e non si trovava un marinaio di età matura che
          non avesse sofferto quel rischio più volte durante la vita a venturosa. Eppure
          quel pericolo non era la maggior causa di preoccupazione per chi attendeva a
          casa e per il navigante: l'incubo era costituito dal “turco”, dal rischio di essere
          fatti   schiavi,   gettati   in   un   “bagno”,   sfruttati,   sferzati,   logorati   fino
          all'esaurimento delle forze, qualche volta riscattati dai famigliari che per
          raggiungere l'intento si indebitavano ed alienavano le poche modeste proprietà
          fino a rovinarsi...”54)




























          “...conosco un mare brulicante d'oro dove le vele sono fiamme esili....un mare
          che è tutto un zaffiro liquefatto, in cui si vorrebbe stemperarsi....”



          così Camillo Sbarbaro descriveva il mare di Spotorno, ma forse vale la pena di
          ricordare che non è sempre stato così

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