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la Lanterna; lungo il corso del Po sino ad attraccare in Piazza Vit-
torio Veneto, a Torino.
La vita appare, sempre, ordinata in scadenze, tappe, adem-
pimenti: forse quello che il romanzo ci vuol dire è che tutto non
può, non deve, essere ordinato in quel modo. Esiste un “disordine”
che non ci fa partire, ci tiene fermi, legati al sogno.
È l’idea, sempre disordinata delle nostre aspirazioni più pro-
fonde che si intrecciano, quasi si confondono, diventando sogni, rea-
lizzandosi in noi stessi, al di fuori da qualsiasi realtà temporale, da
qualsiasi esigenza imposta dagli accidenti della vita: gli accidenti della
vita ci sono, eccome, e bisogna affrontarli. Nel romanzo, attorno ai
suoi protagonisti, la vita vissuta scorre giorno per giorno, impone
scelte, consente affermazioni, costringe a rinunce: rinunce vissute an-
che dolorosamente, si cambia città, si muta la prospettiva di vita, non
si riesce a stare fino in fondo con le proprie coerenze.
Debolezze del corpo e dell’animo.
Il viaggio, invece, rimane sullo sfondo delle aspirazioni
profonde, riproponendo sempre, costantemente, il proprio inter-
rogativo.
Tra viaggio e meta, noi propendiamo per la meta: anche
perché quello odisseo non è un viaggio, è un volo, il folle volo del-
l’Ulisse omerico o quello dell’eroe sumerico Gilgamesch che partì
alla ricerca dell’immortalità, per tornare alla realtà dove “ i grandi
Dei hanno contato i giorni della vita”.
Avevamo pensato, allora, all’idea della meta come U-topia,
ma U-topia rimane ancora, nonostante tutto, l’idea di un senso
della fede rivolta alla possibilità di dare un senso al mondo.
Allora meta non è u – topia, piuttosto è disincanto: un di-
sincanto che ci allontana dal “leviatano” che credevamo sarebbe
servito a darci una visione del mondo, ad alleviare il peso dei no-
stri errori.
Quindi meta come coscienza: coscienza lontana, eco che pro-
viene da una realtà virtuale come quello degli scambi di lettere che ri-
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