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POSTFAZIONE
Si può intraprendere un viaggio senza partire ed identificandone
la “meta”, soltanto nel senso classico dell’indicare “oltre”?
L’interrogativo compare al lettore attento di questo nuovo ro-
manzo di Bruno Marengo, ormai scrittore collaudato, ma non per que-
sto meno sensibile alle proprie tematiche originarie, della ricostruzione
dei personaggi e degli ambienti che “fanno” le storie.
In questo caso la meta è “Sevilla”, la fascinosa capitale dell’Anda-
lusia che si immagina bianca, abbacinata dal sole, incrocio di popoli, cul-
ture, usi, costumi.
Non tutto, però, è così semplice: questa “Sevilla”, la “Sevilla”
della speranza dei personaggi che vivono nel romanzo esiste davvero e di
che cosa si tratta: meta di un periplo omerico, ma forse, un’idea risalente
ancora al significato più ancestrale del “viaggio” quello della necessità di
attraversare il mare oppure di vagare per le steppe, ai primordi della scrit-
tura, quando arte e vita coincidevano?
Meglio ancora una “Sevilla” meta: meta di un pensiero inquieto
che vaga, che cerca, che si situa - appunto - “oltre” la dimensione im-
mediata, si nutre di aspirazioni ideali e, insieme, della corporeità del quo-
tidiano?
La risposta, se la si cerca tra le pagine del romanzo, non si trova:
e non si può e non si deve trovare.
Tra le buffe storie di personaggi di un “giro” imprecisato, tra di-
verse cittadine e città; tra le melanconie di vite vissute forse in modo di-
verso da come erano state pensate (ma è possibile vivere una esistenza al
di fuori dal proprio pensiero? Ci permettiamo di dubitarlo) la “città del
sogno” (punto del periplo e assieme meta agognata), appare e scompare
all’orizzonte.
Un giorno si sta per partire, tutto è pronto, ma il volo non si
spicca; in altre occasioni, temporalmente differite la meta compare, im-
provvisa, al nostro orizzonte: nel porto di Genova fino a confondersi con
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