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“State insieme?”.
“No, non ancora…”.
Ad un tatto, colpo di scena come in una commedia di Macario:
Zuccherino e Gianna stavano entrando nel ristorantino. Erano eleganti,
veramente due signore di classe.
“È la sorpresa… non mi tradire… ho detto loro per telefono che
ci dovevamo vedere perché io me la passo molto male con la salute e tu
stai scrivendo un grande romanzo, quindi siamo tutti e due mal presi.
Avevi bisogno di sentirle per il finale, per l’epilogo del tuo capolavoro e
io di vederle per tenermi un po’ su. Erano sospettose e temevano uno
scherzo. Le ho convinte puntando sul loro buon cuore. Le ho fatte par-
lare anche con il mio medico… o meglio con l’autista che si spacciava
da medico”, il Duca sussurrava tenendo la bomboletta davanti alla
bocca, cercando di non farsi sentire dalle amiche che erano rimaste
sulla porta di ingresso. Ancora una volta, dettava il copione.
Gianna cominciò a ridere abbracciando Zuccherino: “Ah, ah,
Duca cosa hai inventato? La bomboletta? Il cerotto? Ah, ah, non cambi
mai… e noi sceme che ci siamo cascate… il medico chi era? Il dottor Pau-
tasso o il dottor Salasso? Ah, ah, manca solo il povero Totò con il suo ca-
mice bianco. Ah, ah, mi faccio la pipi addosso. Dov’è il bagno?”.
Archiloco scoppiò a ridere ed anche Zuccherino, dopo inutili ten-
tativi per restare seria, fu travolta dal riso. La ragazza li seguì senza ca-
pire bene cosa stesse succedendo, ma a quelle risate non si poteva resi-
stere.
Ridevano tutti, compresi l’autista ed alcuni signori che stavano
pranzando. L’unico serio era il Duca che se ne stava seduto e compito con
la bomboletta d’ossigeno tra le mani.
Archiloco, ad un tratto, pensò: “Ma la storia della bomboletta è
vera, me ne ha parlato un medico vero, che ha in cura il Duca, facendo
delle previsioni preoccupanti”.
Il Duca sembrò capire che cosa stesse passando per la testa del suo
amico e, facendogli il cenno di tacere, si tolse i tubicini dell’ossigeno escla-
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