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“Stai tranquillo. Te l’ho detto perché la voglio vedere. Durante la
mia ultima crisi, in clinica, di notte, non riuscivo a dormire e pensavo a
lei. Se me ne hai parlato un motivo c’è. Ti conosco. È sicuramente spe-
ciale. Una ragazza di quelle di quel pittore… Baldas o come cazzo si
chiama… quello di cui parlavi sempre con aria da intellettuale, quello
delle mutandine…”.
“È Balthus…”.
“Ecco, il sapientone, al solito. Eh, le mutandine. Ti ricordi Zuc-
cherino? Se ne parlavo io, ero volgare. Tu, invece, eri un fine intellettuale
anche con le mutandine in bocca. Potenza dell’amore! Comunque, la vo-
glio conoscere questa ragazza. Un tuffo nella giovinezza, da osservatore
s’intende. Io contemplo”.
“Non tirar fuori discorsi sulle mutandine e su Balthus. Potrebbe non
capire, non vorrei che pensasse che la prendiamo in giro”.
“Non temere! E poi oggi chi parla più di mutandine? Oggi in-
dossano il tanga, il perizoma, quello con il cordino tra le chiappe. Amico
mio, mi amigo, sei rimasto alle mutandine? Anche Balthus si dovrebbe
aggiornare se potesse dipingere oggi”.
Il Duca era reduce da seri problemi di salute ed era costretto a por-
tarsi dietro una bomboletta d’ossigeno, che respirava attraverso dei tu-
bicini infilati nelle narici e tenuti su da un grande cerotto. In auto, aveva
delle altre bombolette di scorta.
“Speriamo che non si spaventi vedendomi conciato così, ma non
potevo aspettare, chissà per quanto ne avrò con questa menata. Hai pre-
notato i posti?”.
“Sì, per noi e per l’autista…”.
“Chiama col cellulare ed avverti di tenerci un tavolo grande, non
si sa mai… e poi ho una sorpresa”.
“Posto ce n’è… figurati… di lunedì… mi raccomando con le tue
sorprese… non fare cavolate…”.
“Bene! Allora ragazza di Balthus a noi!”, il Duca aveva alzato la
bomboletta come se stesse facendo un brindisi.
Quando entrarono nel ristorante ed apparve la ragazza il Duca si
sedette teatralmente sulla prima sedia che gli capitò a tiro: “Amico mio,
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