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Brufolo, un gatto poliglotta e genoano, il mare

          Un      giorno di primavera, di tanti anni fa, un ragazzino, tutto capelli

                  e brufoli, stava viaggiando in treno, per la prima volta da solo,
          per  raggiungere  un  paesino   della   costa.  Non  stava  più   nella   pelle:
          finalmente avrebbe potuto vedere e toccare il mare, che era sempre
          presente   nei   suoi   sogni   e   nei   racconti   che   leggeva   prima   di
          addormentarsi.
          Appena sceso, in una stazione lillipuziana e deserta, stava guardandosi
          attorno, quando, ad un tratto, un gatto spuntò da una siepe di pitosforo.
          Era vecchio e malandato. Gli rivolse subito la parola: “Ciao Brufolo!”.
                                                  Il   ragazzino   avrebbe   voluto
                                                  dirgli   di   non   chiamarsi
                                                  Brufolo, ma furono più forti lo
                                                  stupore   e   la   curiosità:   “Ma
                                                  come! Tu parli?”.
                                                  “Sì,   ho   imparato   la   lingua
                                                  degli   umani   da   una   vecchia
                                                  signora cui facevo compagnia.
                                                  Allora ero un gatto di casa”.
                                                  “E ora?”.
          “Sono un vecchio randagio, stanco e acciaccato”.
          “Mi potresti accompagnare al mare?”.
          “Certo, ci stavo proprio andando”. Lo guidò sino ad un molo che
          sembrava una strada nel mare. Brufolo, d’ora in avanti lo chiameremo
          così, si mise a correre, poi si fermò di colpo: che emozione! Il mare gli
          stava davanti sereno, quasi immobile. Alle spalle aveva delle colline
          piene di case, di strade, di pinastri bruciati, di ferite che sembravano
          provocate dalle unghie di un gigante. Davanti, la linea dell’orizzonte era
          ferma, imperscrutabile e senza scalfitture.
          “Ti piace il paesaggio?”, gli fece il gatto.
          Brufolo non gli rispose. Girava lo sguardo soffermandosi ora sul mare,
          ora sulle colline ferite, ora sulle costruzioni di cemento che, in modo
          disordinato,   digradavano   verso   la   spiaggia.   La   serenità   che   gli
          trasmetteva quella distesa azzurra era fugata e trasformata in dolorosa
          sorpresa non appena gli appariva una porzione martoriata di territorio.



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