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Poi ho immaginato un esordio alla Totò – genoani si nasce, e io modestamente lo
            nacqui! – essendo io genoano dalla nascita, anzi da prima di nascere, grazie ad un
            padre, Achille, che nel 1925 era carabiniere di leva a Ferrara e il 24 maggio fu
            mandato in servizio allo stadio di Bologna in occasione della prima delle famigerate
            cinque partite di spareggio. L’aria che tirava in quello stadio non doveva essere delle
            più serene (se pensiamo a quel che accadde due settimane dopo a Milano…), ma il
            Genoa vinse 2-1, e Achille, pieno di orgoglio ligure, diventò genoano sul campo. E
            siccome era mite in tutto tranne che nelle questioni di fede, trasmise d’autorità la
            passione a figli e nipoti (ma perdonando volentieri al figlio maggiore, Florio, l’amore
            per il grande Torino…).
            Poi ho pensato che parlare di me non era il modo più garbato per cominciare. Anche
            perché, se è vero che genoani si può nascere, è altrettanto vero che genoani si può
            diventare (ne ho visti di amici convertiti d’amblée, come Saulo sulla via di Damasco, al
            primo impatto con Marassi…!): anzi, chi nasce genoano è solo fortunato (come non
            ricordare il celebre detto di Pippo Spagnolo, che Bruno Marengo ha posto a sottotitolo
            del libro?), mentre a chi lo diventa va anche riconosciuto un merito. Così ho deciso di
            mettere da parte Armstrong e Totò e partire direttamente dalle emozioni della serata
            di Spotorno.
            Provate a immaginare. Una cornice musicale con Riccardo Giudice (precipitatosi in
            giornata dalla Danimarca per non mancare all’appuntamento) che, con la sua chitarra
            e la sua voce calda e vissuta, apre la serata con Crêuza de mä, poi ne introduce la
            seconda parte con Ma se ghe pensu, infine la chiude con You’ll never walk alone e con
            l’inno di Campodonico-Reverberi:  Coi pantaloni rossi e la maglietta blu…  Brividi di
            commozione.
            Poi un saluto-monologo di Enrique Balbontin, che strappa irrefrenabile simpatia con la
            sua verve linguistica e istrionica, degna del miglior Plauto, in una cascata di battute sul
            Genoa  e  su  Genova,   sui   genoani   e  i   sui   genovesi   che  trasformano  d’incanto  in
            commedia lo psicodramma genoano, come lo definiva il padre di Bruno Marengo (non
            si dimentichi che si era alla vigilia di Genoa-Cagliari, con il Genoa sospeso sul baratro,
            appeso ad un esile punto di vantaggio…). Grande Enrique, molto più che un comico!
            Brividi di terapeutica allegria.
            Poi la sfilata delle vecchie glorie! Ramon Turone, Claudio Maselli, Attilio Perotti, Sidio
            Corradi (in ordine di formazione), a scambiarsi battute scherzose, aneddoti, ricordi dei
            tempi andati, belli e brutti (i gol di Corradi, i cross di Perotti, le cavalcate a tutto campo
            di Turone, i lanci alla Suarez di Maselli…, ma anche la serie C, con una sconfitta in casa
            per mano dell’Aquila Montevarchi!). E ancora Luca Chiappino, Giancarlo Romairone,
            Michele  Sbravati  (splendido conduttore  della serata),  Gennaro Ruotolo,  Armando
            Ferroni e Luca De Prà, nipote del mitico Giovanni De Prà, a snocciolare altri aneddoti,
            ricordi di presidenti (Fossati, Spinelli…), allenatori (Scoglio e Bagnoli su tutti) e di tante
            altre  persone  a  vario titolo  legate  al   Genoa.  Brividi   di  memoria  (con  più  di  un
            rimpianto).
            Poi Bruno Marengo, che, aggiungendo ricordi a ricordi, aneddoti ad aneddoti, ha
            illustrato il  suo libro, ne ha commentato le pagine salienti  e ha ricordato perché  e con

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