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quale   spirito   il   libro   sia   nato.   Commovente,   in   particolare,   il   ricordo   del   padre
       Gerolamo, al quale il libro è dedicato, in segno di omaggio alla sua memoria e come
       ideale ripresa e prosecuzione di un dialogo che in vita – come spesso accade tra padri
       e figli – è rimasto in sospeso.
       E ancora Franco Astengo, che, riallacciandosi alla sua bella prefazione, ha ricordato
       come sia stato lui a suggerire a Marengo l’idea del libro, dopo che Marengo aveva già
       collaborato al blog “La città & il calcio” (dedicato alla storia del calcio savonese, a cura
       dello stesso Franco Astengo) con un pezzo che anticipava in parte il titolo del libro:
       “Cöse da Zena (le scelte dei perdenti)”.
       E altri interventi ancora, fra i quali quello di Piero Bertolotti, simpaticamente ironico e
       ricco di curiosità. E quelli di due poeti, invitati a leggere i propri versi genoani: un
       grande poeta dialettale, Giuliano Meirana, che ha composto in dialetto spotornese
       una struggente lirica in salsa rossoblù, e un attempato poetastro che quand’era
       giovanotto ebbe la presunzione di scrivere il testo per un inno del Genoa, ma se ne
       vergognò subito, lo chiuse in un cassetto e ve lo lasciò per più di cinquant’anni… finché
       Bruno non lo invogliò a ripescarlo.
       E poi e poi… Poi tre collegamenti in diretta con We are Genoa, la nota trasmissione
       condotta  da  Pinuccio  Brenzini   su  Telenord,   che   ogni  settimana  fa  il   punto   sulla
       situazione Genoa, con l’assidua presenza di altre indimenticabili vecchie glorie, come
       Giorgio Garbarini e Claudio Onofri, in veste di opinionisti.
       E infine,  lust but not least,  il vero protagonista della serata: il pubblico! Platea
       traboccante di appassionati genoani: quelli che, a ragione, Franco Scoglio chiamava il
       “popolo genoano”, cioè un insieme di individui caratterizzati da un comune sentimento
       di appartenenza.
       E qui entra in gioco la genoanità. Se il senso di appartenenza è proprio di ogni popolo,
       nella   fattispecie   di   ogni   popolo   calcistico,   il   senso   di   appartenenza   dei   genoani
       (provare per credere…!) ha un quid tutto suo, un che di speciale, che altri non hanno o
       hanno in altre forme o in altra misura. Non si tratta, è ovvio, di doti innate – lungi da
       noi! – bensì di un modo di essere e di sentire con radici nella storia, maturato
       attraverso   il   tempo   e   ricco   di   risvolti   psicologici,   sentimentali,   emotivi,   che
       determinano una specifica fisionomia interiore ed esteriore.
       I genoani si riconoscono fra mille. In tutte le loro espressioni portano inciso un mix
       inconfondibile di orgoglio e pessimismo, gioia e sofferenza, speranza e delusione.
       Hanno sempre il cuore nelle rose e nelle spine. Nessuno sa tenere insieme questi
       opposti sentimenti come il genoano. Mi verrebbe da fare un paragone con la voce di
       Frank Sinatra, capace come nessun’altra di esprimere nello stesso tempo felicità e
       tristezza (è il segreto del suo timbro inimitabile!). Che fosse anch’essa un effetto della
       genoanità? Si sa che Frank era un convinto genoano. Nella sua tomba, nel piccolo
       cimitero di Palm Springs, è sepolta, accanto a lui, una sciarpa rossoblù. E sulla sua
       tomba è incisa una frase rivelatrice (che è anche il titolo dell’ultima canzone da lui
       cantata in pubblico il 25 febbraio 1995): The best is yet to come, “il bello deve ancora
       venire”. Lo considero un autentico motto del sentire genoano: un grande passato,
       morto e sepolto, tenuto in vita da un amore che non vuole passare e dalla fede in un
       futuro di nuova gloria.
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