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Quanto alle radici storiche, azzardo un secondo paragone. Il sentimento di
appartenenza dei genoani ha qualcosa che mi ricorda quello degli alpini. Mondi molto
lontani, si obietterà giustamente, anche in considerazione dell’anima principalmente
marittima di Genova e della Liguria (sebbene la Liguria abbia anche un’anima
montana: quanta Liguria, e quanta genoanità, anche nelle terre appenniniche e d’oltre
Appennino!): ma le affinità consistono semplicemente nel ruolo che, nel formarsi del
sentimento di appartenenza, esercitano le rispettive epopee. Come gli alpini, infatti, il
Genoa – con tutti i distinguo del caso – ha un’epopea ricca di imprese, di battaglie
vinte e perdute, eroi, dispersi, caduti: i suoi primi trent’anni sono stati nel segno della
gloria, gli ultimi novanta nel segno del declino (a dividere le due ere, come una
maledizione, la vergogna degli spareggi del ’25).
Si è formato così un patrimonio di memorie e di valori intriso di orgoglio e sofferenza.
Orgoglio e sofferenza: sono i colori primari dell’epopea e, dunque, i basilari sentimenti
dell’appartenenza genoana. Nessun altro popolo calcistico in Italia – fatta eccezione
per quello torinista, a seguito dell’immane tragedia di Superga – ha altrettanta
familiarità con la sofferenza, con l’elaborazione del lutto, con l’esercizio della fedeltà
ad ogni costo ed oltre ogni limite: oltre i novescudetti e il decimo scippato
proditoriamente, l’altalena fra la A, la B e due volte la C, i derby più persi che vinti, il
mito Scoglio, lo squadrone del quarto posto con Osvaldo Bagnoli, la vittoria ad Anfield,
i grandi giocatori passati come meteore, le girandole di acquisti e vendite, le speranze,
gli entusiasmi, le illusioni, le ansie, le delusioni, le rabbie ecc. ecc. Sempre e comunque
tenacemente genoani. E quanto più sofferenti tanto più coesi (lasciando fuori dal
discorso, ovviamente, le frange violente, che nulla hanno a che vedere – per il Genoa
come per le altre squadre – con il senso di appartenenza ed, anzi, sono frutto di
pulsioni estranee al tifo che subdolamente cercano terreno di cultura nel tifo
organizzato, come è a tutti ben noto). La genoanità è, in tal senso, una sorta di
“confederazione” leopardiana, di alleanza sentimentale contro la malignità del
destino: una meravigliosa strategia di capovolgimento della sciagura in valore etico.
E l’orgoglio non è solo nel rivendicare le glorie passate, ma anche nel rivendicare il
primato della forza morale nata dalle sofferenze. Il costante benessere infiacchisce lo
spirito, come si sa, l’abitudine al successo e alla vittoria ottunde la mente, crea una
presunta sanità psicologica che alla prima avversità si trasforma in rovinosa malattia
(come insegna il buon Italo Svevo): chi è avvezzo al dolore e alla sconfitta, invece,
secerne una forza interiore che gli assicura la sopravvivenza a qualsiasi catastrofe.
Nella prospettiva della lunga durata, quindi, nessuno può essere più ottimista del
genoano! Si tratta solo di pazientare qualche secolo ancora…
E allora Genoa is here to stay, per parafrasare un celebre brano di George Gershwin
(con testo del fratello Ira) – Love is here to stay – di cui il genoano Sinatra ha dato,
come sempre, una delle interpretazioni più seducenti. Il Genoa è un sentimento
destinato a restare, a durare nonostante tutto, accada quel che accada.
P.S. Proprio nel momento in cui chiudo questo pezzo, domenica 19 maggio 2019,
l’Empoli segna il quarto gol al Torino, scavalca il Genoa in classifica e lo lascia al
terzultimo posto, che vale la retrocessione in serie B. Domenica prossima, 26 maggio,
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