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l’intervento aereo (i blucerchiati avevano poi raggiunto il definitivo pareggio grazie a
una rete – la terza ed ultima in altrettanti derbies cadetti di ritorno – di Giorgio
«Nano» Roselli sr. al 33’), mentre nel successivo derby (il Genoa aveva «aspettato» per
un anno l’arrivo dei «cugini» in Serie A) estrasse il cartellino rosso in faccia a Giovanni
«Mazinga» Guerrini al 36’ del primo tempo per un’entrata in scivolata sotto la Tribuna
sul terreno fradicio a piedi uniti potenzialmente pericolosissima per l’incolumità del
genoano Giuseppe «Beppe» Corti sr., che, però, era riuscito ad evitare l’altrimenti
devastante impatto (alla “Domenica Sportiva” il celebre opinionista Gianni
«Gioanbrerafucarlo» Brera commentò l’accaduto, dicendo che, in quella malaugurata
evenienza, ci sarebbe stato un calciatore in meno e… uno zoppo in più!). Se al termine
dell’incontro ricordato come il derby genovese con il maggior numero di spettatori
(circa sessantamila) si levarono molte proteste da parte blucerchiata per l’arbitraggio
di Agnolin jr, ancora maggiori – e, sportivamente, bisogna riconoscere tutt’altro che
ingiustificate! – furono poco meno di un anno e mezzo dopo al termine di quella che
sarebbe stata la sua ultima direzione di incontri tra il Genoa e la Sampdoria.
«Beffato» nel 1981 dal Genoa (promosso con Milan e Cesena «a spese» di Lazio e
Sampdoria), il facoltoso presidente blucerchiato Paolo Mantovani sr. aveva allestito per
il campionato seguente una squadra in grado di conquistare, nonostante un avvio
sotto tono, la promozione in Serie A e di figurare in esso in maniera ambiziosa, mentre
dall’estate del 1981 l’obiettivo del presidente rossoblù Renzo «o’ scio Renso» Fossati
era in linea con quello che da una ventina d’anni si erano prefisse le due squadre
genovesi, quando militavano nella massima serie: la permanenza in Serie A (all’epoca
più difficile da raggiungere rispetto ad oggi, perché l’ultima posizione valida ad evitare
la retrocessione era la tredicesima). Se al termine del Campionato precedente il Genoa
aveva avuto un distacco di quattro punti dalla Sampdoria, in quello successivo,
complici l’indebolimento del suo organico e il rafforzamento di quello della rivale
cittadina, la «forbice» si era allargata in maniera impressionante, se è vero come è
vero che al derby di ritorno del 1983/1984, trattato in questa rubrica, i blucerchiati si
presentarono con 22 punti (quante erano state le partite disputate) e i rossoblù,
penultimi, con 13 (frutto di due vittorie – ottenute in casa contro Torino e Catania –,
nove pareggi ed undici sconfitte). Curiosamente proprio da quella partita il Genoa
avrebbe iniziato la sua «remuntada», marciando fino al termine in perfetta media-
inglese (dodici punti – con la vittoria se ne ottenevano due – in otto partite) e
perdendo la salvezza per peggior «classifica avulsa» negli scontri diretti rispetto alla
Lazio (che domenica 29 gennaio 1984 all’“Olimpico” si era imposta per 2-1 in rimonta
sul Genoa grazie a un calcio di rigore trasformato da Vincenzo «Vincenzino» D’Amico e
decretato dal signor Pietro D’Elia di Salerno per un fallo simulato da Lionello
Manfredonia, da cui sarebbe stato con modalità… «copia ed incolla!» nuovamente
ingannato – a voler «sposare» la tesi dell’ingenua buona fede dell’arbitro campano –
tre mesi e mezzo dopo all’ultima giornata, quando, domenica 13 maggio, i
biancocelesti ottennero il «salvifico» pareggio – 2-2 – a Pisa).
La quasi disperata situazione di classifica con cui il Genoa si era presentato al derby
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