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Articolo di Tino (rimasto inedito) dal titolo “Miele e
catrame: ricordo di Don Marino Barreto”.
Sul testo inviatomi apposi qualche aggiunta e correzione
suggeritemi successivamente da Tino.
Ho letto con interesse ed attenzione i “pezzi” che Bruno e Mario
Marengo hanno recentemente scritto per le pagine de “Il Sole”, a
proposito del compianto Fabrizio De André. Bellissimi. Perché
sono voce di due generazioni non lontane, ma differenti quanto
basta per capire insieme, aiutare altri a capire e fornire da
angolazioni diverse la “lettura” di un indubbio fenomeno di
impegno e di trasgressione sublimati in arte e poesia, quindi in
amore, oso pensare in una forma inconsapevole di religione. Non
so che riflesso sia scattato, ma è venuto voglia anche a me di dire
qualcosa per un altro cantante, affatto diverso da Fabrizio: Don
Marino Barreto. Un cantante, affermò il qualificatissimo Arbore
non molto tempo addietro, troppo in fretta ed ingenerosamente
dimenticato. Ho sottolineato il “per” e non a caso. Queste righe
che verosimilmente potrebbero cadere nel quasi generale
disinteresse, vogliono essere prima che ogni altra cosa un omaggio
a lui, un sommesso quanto dovuto omaggio di uno dei suoi vecchi
e allora numerosissimi ammiratori. Ma chi era Don Marino
Barreto? A chi raccontarne? Con chi parlarne? Per chi scriverne?
Per i “barretomani” conclamati (lo stesso Bruno, Gabriella - ma
dove sarà?- oppure Marino, o Giuliano - loro capo storico - o
Claudio?). Immagino sia superfluo. Per i lettori della mia
generazione o giù di lì? Non saprei, ma sarebbe già un successo
indurne anche uno solo a ripescare un polveroso 45 giri e a
metterlo sul giradischi. Per i giovani lettori de “Il Sole”? No,
Marino è troppo lontano; una marcia indietro di quarant’anni,
ancorché alimentata da voglia di capire o anche solo da curiosità,
sarebbe pur sempre un lavoro improbo, forse inutile archeologia.
Chiariamoci le idee tra pochi intimi allora. Perché abbiamo amato
per così tanto tempo quel “negrone” affascinante e gentile? La sua
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