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Articoli, dal titolo “Confronto tra due generazioni”, in
ricordo di Fabrizio De André, apparsi sul n° 5 - marzo
1999 - de “Il sole sulla terra del golfo”.
Ricordando De André
di Mario Marengo
Ho imparato ad apprezzare Fabrizio De André grazie ad alcuni
vecchi dischi di mio padre, il quale fin da giovane era solito
canticchiare alcune sue canzoni accompagnandosi con la chitarra.
Troppo tardi ho avuto voglia dì scoprire chi fosse Fabrizio De
André e che cosa avesse sempre rappresentato per le generazioni
venute prima della mia. Smaltita la sbornia adolescenziale di heavy
metal e Vasco Rossi, solo intorno ai vent'anni ho avuta la curiosità
di mettere sul piatto un vecchio disco di Fabrizio De André e poco
per volta ho imparato a comprendere meglio alcuni testi che solo
poco tempo prima non avevo o non volevo capire. Abituato
com'ero a testi da vero macho (alla Vasco Rossi, tanto per
intenderci) mi risultava difficile credere che “...Marinella scivolò
nel fiume a primavera e il vento che la vide così bella dal fiume la
portò su di una stella”, mentre mi sembrava più logico che “quella
stronza (..) é andata a casa con il negro, la troia”. Solo dopo
un'analisi più approfondita dei testi mi sono poi reso conto che De
André, come Vasco, era solito partire da storie reali per trascendere
poi in un mondo fantastico popolato da figure reali, quali barboni
fannulloni prostitute e benpensanti. Quante volte ho incontrato per
strada alcune di queste figure, quante volte entrando in qualche bar
di Spotorno mi sono venute in mente le strofe di "La città vecchia"
dove si dice “... gonfi di vino quattro pensionati mezzo avvelenati
al tavolino... li troverai là col tempo che fa, estate e inverno a
stratracannare e stramaledire le donne, il tempo ed il governo”.
Pochi anni fa non sarei mai riuscito ad apprezzare un brano come
"La canzone dell'amore perduto", probabilmente l'avrei giudicato
noioso e troppo melenso non avrei neanche poi considerato
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