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voce (ma era poi una voce?), resa armonioso rantolo da madre
natura e da troppe sigarette, imperversò calda e suadente nei juke-
box e nei night club di tutte le Riviere, dalla metà dei ’50 fino alla
metà dei ’60 circa.
Ci stordì e ci imbambolò, spendendoci in innocui nirvana, con
biglietto di andata e ritorno però, spendibile in una serata magica o
in una “festa” in casa di amici o anche in solitudine; un filo di
malinconia era d’obbligo. Figlio di una cinese, di cui manteneva il
taglio degli occhi, scuri come la notte, e di un cubano, arrivò in
Italia non si sa bene come. Io volevo indagare quel misterioso
successo e il suo misterioso protagonista; ero pieno di perché e di
come mai, ma lui una sera, quando già eravamo entrati in
confidenza, mi anticipò: “Vieni una volta a Milano, nella casa
nuova, ti faccio conoscere la mia famiglia e ti racconto tutto...”.
Ma quel viaggio a Milano non ci fu mai. Nel 1966 era tornato a
Cuba per “ritrovare”, diceva così, la sua terra e per risolvere alcuni
problemi famigliari. Uno tra gli altri, il lungo “contenzioso” con il
padre (anche lui artista e anche lui Marino di nome) per via del
“Don” apposto davanti al nome e che aveva, dopo tanto tempo,
rivendicato. Marino Barreto Jr., così prese a chiamarsi, tornò in
Italia dopo due o tre anni, ma il suo astro era ormai tramontato.
Inoltre, il rifiuto apposto a qualche men che nobile compromesso,
gli procurò l’esclusione dal grande “Barnum” dello spettacolo e
quindi l’estromissione dai circuiti che contavano. Seguì un
dignitoso tran tran nei locali notturni della Penisola con repertorio
rinnovato, ma con schiere di “fans” riconfermate. Il sottoscritto,
puntuale, laddove fosse possibile, sempre in prima fila. Sia nel
periodo di massima popolarità che in quello del suo ritorno in
sordina, lo inseguii un po’ dappertutto, facendomi notare, come
sempre, per i miei “eccessi” di entusiasmo. Lui se ne accorse; il
primo passo era fatto. Poi una sera, al Parco Villa Romana di
Alassio giocai furbescamente la carta decisiva. Gli chiesi una
canzone che dubitavo potesse avere in repertorio. Infatti, con molta
cortesia mi disse che non ne ricordava le parole. Ringraziai
comunque, tornai al mio tavolino e gliela scrissi in pochi attimi su
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