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"Il testamento" come uno dei pezzi più ironici che io abbia mai
ascoltato. De André non è un mito della mia generazione e, anche se
i suoi testi graffianti ben si adattano ai giorni nostri, probabilmente
non lo sarà mai, anzi credo che pochi miei coetanei sappiano
elencare alcuni titoli di sue canzoni, anche perché poco pubblicizzato
dalle radio e dalla Tv (sfido chiunque ad affermare di aver sentito
spesso le sue canzoni alla radio). Io non conosco la produzione
discografica completa di De André e non sono certo il più adatto a
parlarne, ma a differenza di molti miei coetanei, non mi accontento
di ascoltare solo lo musica che trasmette la radio. Così la mia
curiosità mi spinge ad ascoltare vecchi dischi di qualche anno fa e
proprio in questo modo ho iniziato ad amare De André. La notizia
della sua scomparsa mi ha coinvolto emotivamente e mentre per la
generazione di mio padre è stato come perdere un amico, per me è
come se fosse venuto a mancare un insegnante di liceo, uno di quelli
insegnanti che narrano realmente i fatti storici senza aver pudore di
raccontare che a fare la storia contribuiscono anche le puttane, i
drogati, i balordi e in generale tutti i tipi di emarginati.
Purtroppo le sue lezioni sono terminate e mi piace pensare che sia
semplicemente andato in pensione raggiungendo così altri illustri
colleghi come Ivan Graziani, Luigi Tenco, Rino Gaetano, tanto per
citare alcuni grandi cantautori scomparsi prematuramente.
E magari se Rino Gaetano fosse ancora vivo potrebbe dedicare a
Fabrizio le ultime strofe della sua canzone "Sombrero" dove dice:
“...Nessuno l'ha visto morire / per questo la gente sa che non è vero /
negli occhi di chi ha sofferto c'è una speranza (---) / e cantano le sue
canzoni / le storie di sangue, le storie d'amore / anche se lui non c'è
più / ha lasciato al paese un po' del suo cuore”.
Anno 2° numero 5 1° Trimestre - Marzo 1999
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