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E poi c’erano le atmosfere. Con le sue canzoni ne creò di irripetibili, in
quei locali dove si andava per ballare, per corteggiare, per innamorarci,
per sussurrare in un orecchio quanto magari non avremmo avuto il
coraggio di confessare in altre situazioni. E ne uscivamo dolcemente
violentati nelle emozioni e nei sentimenti, per arrivare a casa eccitati,
qualche volta addirittura in estasi, ma sani e salvi. E scusate se era
poco. Sia chiaro: non vivevamo solo di sospiri e di sambe lente. Due
ancheggiamenti di Elvis Presley bastavano per scatenarci come
dervisci impazziti, ma per riflettere su un bacio rubato o su una mezza
promessa ci voleva Marino. Un contrabbasso che sovente suonava lui
stesso, i ghirigori di una tastiera, le spazzole struggenti della batteria, le
maracas che davano metafisica flessuosità all’impianto della canzone,
le tumbe, sulle cui pelli, mani espertissime si muovevano a volte come
voli di farfalle, a volte come estenuanti carezze... Fu un fenomeno
anche lui allora e quella fortunata raucedine si fece spazio tra il meglio
di quegli anni, in cui tutto era il meglio. Dalle isterie sincopate di Little
Richard, allo swing trascinante di Sinatra, dalla voce calda e ruffiana di
Dean Martin a quelle acerbe di P. Anka e di Neil Sedaka, da... a... e si
potrebbe andare avanti all’infinito. E magari un’altra volta ci provo.
Ma quelle voci, prevalentemente almeno, venivano da lontano, da di là
dell’oceano. Marino invece aveva scelto di stare con noi, qui e di
“importarci” sabbia calda. Senza effetti speciali (bastava la sua
composta eleganza), non davanti a sguaiate platee, ma in quei templi a
mezza luce, dove azzimati e senza risparmio di brillantina, insaccati
nella prima giacca blu, sacrificammo a dei benevoli, anni di giovinezza
incantata. Con Marino ci lasciammo una sera ad Alassio,
ripromettendoci di sentirci presto. Aspettai una telefonata, ci provai io,
ma invano. Di lì a qualche giorno lessi sul Corriere che la morte lo
aveva ghermito a 48 anni, per un male troppo a lungo trascurato e
diventato improvvisamente incurabile. Ci cantò il suo ultimo
“ARRIVEDERCI” sottovoce, come era nel suo stile. Una volta mi
disse: “Quando uscirò di scena non se ne dovrà accorgere nessuno”.
Appunto. Grazie Marino.
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