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1972 nel centenario della nascita di Serrati ebbe come oratori
un prestigioso esponente del Partito comunista come
Umberto Terracini e Gaetano Arfè, che era sì uno storico di
professione, ma al tempo stesso dirigeva l'«Avanti!» ed era un
senatore socialista.

   Né è un caso che Anna Rosada e il sottoscritto, ovvero i due
giovani studiosi autori di studi su Serrati, presenti quel
giorno a Spotorno, fossimo entrambi allievi di Ernesto
Ragionieri, storico insigne ma anche dirigente del PCI, che
un mese prima aveva presentato i loro libri su «l'Unità»
scrivendo: «per questi due giovani studiare Serrati e la sua
attività nel movimento operaio è stato qualcosa di più che
procurarsi un titolo scientifico, come dimostra il fatto che
proprio durante il corso dei loro studi sono entrati a far parte
del nostro partito».

   Perché ricordo tutto ciò? Non solo perché la storiografia
militante di quegli anni è entrata in crisi da decenni, ma
anche e soprattutto perché il presente, a partire dal quale
interroghiamo sempre il passato, è mutato a tal punto che
non è fuori luogo parlare di un cambiamento epocale. Ne è
una riprova, a mio parere, il forte ridimensionamento
dell'interesse degli storici di professione per la storia del
movimento operaio e socialista verificatosi negli ultimi
decenni.

   In quest'ambito, per quanto riguarda Serrati, chi facesse
una ricerca bibliografica troverebbe ben pochi lavori in cui
negli anni più recenti se ne è parlato. Se non erro l'ultimo
libro a lui dedicato, l'unico dopo i lontani anni settanta, è
quello di Alessandro Natta, uscito postumo nel 2001. È
un'opera molto bella, segnata da un legame affettivo con la
famiglia Serrati e dalle comuni origini onegliesi dell'autore e

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